Di Elvis Di Ponto
Grigorij Efimovič Rasputin (Novych), in russo Григо́рий Ефи́мович Распу́тин (Но́вых) (Pokrovskoe, 21 gennaio 1869 – Pietrogrado, 30 dicembre 1916) |
Non fu solo un monaco russo, né soltanto un guaritore o un consigliere di corte. Rasputin era un ponte tra due mondi: il visibile e l’invisibile.
Nato nelle terre fredde della Siberia, portava negli occhi il fuoco di chi non apparteneva pienamente a questa Terra. Il suo sguardo magnetico non era semplice intensità umana, ma un varco che conduceva nell’abisso dell’anima.
Molti lo temevano, altri lo veneravano, ma in pochi compresero davvero chi fosse. Rasputin incarnava l’archetipo dell’iniziato che rompe le regole, del mistico che non si ferma davanti al giudizio. Le cronache parlano di guarigioni inspiegabili, di preghiere che placavano l’emorragia del giovane zarevic, e di presagi pronunciati con voce ferma che si rivelarono verità ineluttabili.
Ma il suo potere non era “suo”: Rasputin sapeva attingere alle correnti profonde dell’energia cosmica. Viveva immerso nella dualità: l’uomo di eccessi e vizi, e il veggente che pregava per ore, fino a cadere in trance. Nella sua contraddizione stava il segreto: essere veicolo di forze che superano la comprensione lineare della mente.
Ancora oggi, il suo nome evoca mistero. Forse Rasputin non è morto del tutto: figure come la sua restano come sigilli energetici nella memoria collettiva, custodi di verità scomode e di poteri che il mondo razionale non sa spiegare.