Di Anonimo
Negli anni ’60, Harry Wexler, meteorologo di spicco dell’Ufficio Meteorologico degli Stati Uniti e pioniere dei satelliti meteorologici, esplorò l’idea esattamente opposta al recente studio sul buco dell’ozono qui presentato. Nel 1962, in una serie di conferenze intitolata “Sulle possibilità del controllo climatico”, Wexler discusse del controllo climatico, inclusa la possibilità di distruggere deliberatamente lo strato di ozono stratosferico (creando un “buco”) per manipolare il clima, aumentando la temperatura.
Al contrario, il recente studio riportato su Focus.it evidenzia l’effetto collaterale del recupero dell’ozono: l’ozono stratosferico, tornando ai livelli normali, contribuirebbe a un ulteriore riscaldamento del 40% rispetto alle stime precedenti. E QUINDI?
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ARTICOLO SU FOCUS
La chiusura del buco dell’ozono porta con sé un effetto collaterale inaspettato: l’aumento della temperatura terrestre, al quale contribuisce un 40% in più di quanto stimato finora.
Se oggi non facciamo che parlare di emissioni di gas serra e riscaldamento globale, negli anni Ottanta e Novanta del secolo scorso il grande nemico da combattere era il buco dell’ozono: da quando nel 1985 è apparso uno studio su Nature che descriveva il fenomeno, scienziati ed esperti di tutto il mondo si sono mobilitati per cercare di richiuderlo.
Gli sforzi sono serviti: grazie alle norme stabilite dal protocollo di Montreal, un trattato internazionale firmato nel 1987 con l’obiettivo di eliminare gradualmente l’uso delle sostanze che riducono lo strato di ozono, in particolare i clorofluorocarburi, ora il buco si sta rimarginando.
Ma è davvero una buona notizia? Secondo uno studio pubblicato su Atmospheric Chemistry and Physics, c’è un lato negativo inaspettato: se combinato con la crescita dell’inquinamento dell’aria, l’ozono potrebbe contribuire a far aumentare la temperatura terrestre del 40% in più di quanto stimato fino ad ora.
Previsioni plumbee. Per giungere alle loro conclusioni, i ricercatori hanno utilizzato dei modelli computazionali in grado di simulare come cambierà l’atmosfera entro metà secolo se l’inquinamento dell’aria non migliorerà ma i clorofluorocarburi e gli idroclorofluorocarburi saranno eliminati.
I risultati evidenziano che riparare il buco dell’ozono è un’ottima idea per la nostra salute (dal momento che farlo ripristina la barriera contro i raggi ultravioletti), ma un po’ meno per l’ambiente: si stima che tra il 2015 e il 2050 l’ozono intrappolerà 0,27 watt di calore extra per metro quadrato di superficie terrestre, diventando nel 2050 il secondo maggior contribuente al riscaldamento globale dopo la CO2 (la cui quantità di calore extra intrappolato è pari a 1,75 watt per metro quadrato).
Riapriamo il buco? Cosa dobbiamo fare dunque, riaprire il buco dell’ozono? Ovviamente no: i benefici per la nostra salute delle proibizioni alle sostanze che danneggiano l’ozonosfera sono indubbi, e le decisioni prese a Montreal devono essere rispettate. I ricercatori sottolineano però l’importanza di aggiornare le politiche climatiche attuali, tenendo conto del contributo dell’ozono all’aumento del riscaldamento globale.
L’articolo peer-reviewed in questione, pubblicato il 21 agosto 2025 sulla rivista Atmospheric Chemistry and Physics (vol. 25, pag. 9031-9054), si intitola “Climate forcing due to future ozone changes: an intercomparison of metrics and methods”. Questo studio, condotto da un team internazionale di ricercatori, utilizza modelli atmosferici per simulare i cambiamenti fino al 2050 e conclude che il recupero dello strato di ozono stratosferico – un successo del Protocollo di Montreal – contribuisce a un riscaldamento globale aggiuntivo del 40% rispetto alle stime precedenti, principalmente perché l’ozono agisce come gas serra intrappolando calore (con un forcing radiativo di circa 0,27 W/m²).Autori principaliLo studio è un lavoro collaborativo di un gruppo di esperti in chimica atmosferica e modellistica climatica. Gli autori sono elencati in ordine alfabetico per convenzione (non gerarchico), e il design dello studio è attribuito principalmente a due figure chiave:
William J. Collins (autore principale, o “lead author”): Professore di meteorologia atmosferica all’Università di Reading (Regno Unito). Ha guidato il coordinamento e l’analisi dei dati, con un focus sui forcing radiativi. È un esperto di modellistica climatica e ha contribuito a rapporti IPCC.
Fiona M. O’Connor (co-lead author): Ricercatrice senior al Met Office Hadley Centre (Regno Unito). Ha supervisionato lo sviluppo dei modelli e le simulazioni, integrando effetti di ozono, inquinamento e dinamiche atmosferiche.
Ecco la lista completa dei 20 autori, con affiliazioni principali per contestualizzare:
William J. Collins – University of Reading, UK (lead).
Fiona M. O’Connor – Met Office Hadley Centre, UK (co-lead).
Rachael E. Byrom – University of Reading, UK.
Øivind Hodnebrog – CICERO Center for International Climate Research, Norway.
Patrick Jöckel – Deutsches Zentrum für Luft- und Raumfahrt (DLR), Germany.
Mariano Mertens – DLR, Germany.
Gunnar Myhre – CICERO, Norway.
Matthias Nützel – DLR, Germany.
Dirk Olivié – Norwegian Meteorological Institute, Norway.
Ragnhild Bieltvedt Skeie – CICERO, Norway.
Laura Stecher – University of Reading, UK.
Larry W. Horowitz – NOAA Geophysical Fluid Dynamics Laboratory, USA.
Vaishali Naik – NOAA GFDL, USA.
Gregory Faluvegi – NASA Goddard Institute for Space Studies, USA.
Ulas Im – Istanbul Technical University, Turkey.
Lee T. Murray – NASA GISS, USA.
Drew Shindell – Duke University, USA (esperto di ozono e clima, già NASA).
Kostas Tsigaridis – Columbia University/NASA GISS, USA.
Nathan Luke Abraham – University of Cambridge, UK.
James Keeble – University of Cambridge, UK.
Lo studio è un’intercomparazione di modelli (AerChemMIP), finanziata da enti come UKRI, EU Horizon e NASA, e non ha un singolo “autore” isolato, ma Collins e O’Connor sono i più citati come referenti nei comunicati stampa.
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