Di Andrea Cecchetto
Nell’immagine: la dea Kālī. |
Vi sono alcune correnti filosofico-religiose, come ad esempio la Via della Mano Sinistra nel Tantrismo indù, oppure la Teurgia all’interno del Neoplatonismo, che sostengono qualcosa del genere: l’uomo non è in grado [o comunque non lo è più, a causa del decadimento ontologico del mondo], con la sola contemplazione noetica, di unirsi al Divino, di fare ritorno all’Uno. Sono quindi necessarie tutta una serie di pratiche rituali per “forzare” in qualche modo questo obiettivo, le quali in gran parte si basano sul controllo del corpo e su operazioni magiche.
Detto in altri termini, la mistica non è - o non è più - sufficiente; l’uomo non si libera da solo, ma deve avere accesso a conoscenze esoteriche che si possono ottenere solo attraverso apposite cerimonie ed iniziazioni. Riporto dapprima alcune citazioni riguardanti il Tantrismo, poi altre riferite alla Teurgia. Alla fine esprimerò le mie impressioni.
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Tramite la “via della mano sinistra” o “tamasica”, il Tantra sembra voler accelerare la decadenza e la distruzione del mondo per anticipare il cosiddetto “rovesciamento ontologico” e di conseguenza l’inizio del successivo ciclo di manifestazione, con una nuova Età dell’Oro:
[…] nei “tempi ultimi”, nell’“èra oscura”, la sola via di conoscenza adatta, la sola “visione del mondo” possibile è quella […] rappresentata dal Tantrismo, che si basa sulla shakti, la Potenza, dove l’azione contrapposta alla contemplazione risulta essere una disciplina che concilia il godimento del mondo e l’invulnerabilità ad esso. Nel Kali-Yuga, dunque, secondo il buddhismo tantrico solo il respiro e il sesso vengono considerati le uniche vie ancora aperte per l’uomo: è il Vajrayana,la Viadella Folgore, dell’indistruttibilità. “L’uomo deve trasformarsi, quindi agire, per conoscere davvero” […]. Per Evola, dunque, il Tantrismo è l’unica Via da seguire nel “mondo dove Dio è morto” […]. Nel caso della storia si è prodotta una modificazione che riguarda non soltanto le forme del pensiero soggettivo, ma anche le categorie fondamentali dell’esperienza oggettiva. Si può dire che il velo di Mâyâ si è sempre più inspessito, che lo stacco fra Io e non-Io si è fatto sempre più netto, tanto da far apparire l’universo in una pura esteriorità e da togliere ogni base esistenziale alla precedente concezione vivente e sacrale di esso” (Gianfranco de Turris, Nota del curatore a: Julius Evola; Lo Yoga della Potenza. Saggio sui Tantra, pp. 8-9).
[…] talvolta i Tantra hanno rivendicato per sé la dignità di un «quinto Veda», ossia di una ulteriore rivelazione di là da quella compresa nei quattro Veda tradizionali. A ciò si aggiunge un riferimento alla dottrina delle quattro età (yuga) del mondo. Viene affermato che gli insegnamenti, i riti e le discipline che potevano essere adatti alle origini (nel satyayuga, equivalente all’«età dell’oro» esiodea) hanno cessato di esserlo per l’umanità vivente nelle epoche successive e specialmente nell’età ultima, nell’«età oscura» (kali-yuga, «età del ferro» «età del Lupo» nelle Edda). Una tale umanità non nei Veda e negli altri testi strettamente tradizionali, bensì nei Tantra e negli Âgama - viene affermato - può trovare le conoscenze, la visione del mondo, i riti e le pratiche efficaci per innalzare l’uomo al di là di se stesso per la vittoria sulla morte (mrtium javate), secondo il fine generale di tutta la spiritualità indù. Si dichiara, pertanto, che solamente le tecniche tantriche basate sulla Shakti (shakti-sâdhana) sono adatte ed efficaci nell’epoca attuale; tutte le altre sarebbero così impotenti quanto una serpe privata del suo veleno [Mahânirvâna-tantra, I, 20 sgg.; 7, 14, 15 (…)] (Julius Evola; Lo Yoga della Potenza. Saggio sui Tantra, pp. 19-20).
L’esame del volto dell’età ultima, dell’«età oscura» o kali-yuga, porta alla constatazione […] che l’uomo di questa età è ormai strettamente connesso col corpo, egli non può prescindere da esso; pertanto, la via che gli si addice non è quella del puro distacco (come nel buddhismo delle origini e in molte varietà dello stesso Yoga) bensì quella della conoscenza, del risveglio e del dominio delle energie segrete chiuse nel corpo (Julius Evola; Lo Yoga della Potenza. Saggio sui Tantra, p. 21).
[Nel kali-yuga] Kâlî, dormiente nelle precedenti età, «è completamente sveglia» […]; […] con questo simbolismo s’intende significare che nell’età ultima forze elementari, infere e, se si vuole, anche abissali sono allo stato libero e si tratta di assumerle, di affrontarle, di correre l’avventura che la formula cinese «cavalcare la tigre» forse esprime nel modo più pregnante […]. Da qui, i riti e le pratiche speciali di quello che è stato chiamato il tantrismo della Mano Sinistra, ola Viadella Mano Sinistra (vâmâcâra), che nell’insieme della corrente in quistione, malgrado alcuni aspetti abbastanza problematici (orgiasmo, uso del sesso, ecc.), è una delle sue forme più interessanti. Viene pertanto dichiarato […] che, data la situazione del kali-yuga, insegnamenti che in precedenza erano stati tenuti segreti possono essere rivelati in assai diversa misura, anche se si mette in guardia dal pericolo che possono costituire per i non iniziati. Da qui […] l’affiorare, nel tantrismo, di insegnamenti esoterici e iniziatici (Julius Evola; Lo Yoga della Potenza. Saggio sui Tantra, pp. 21-22).
Il divino è al di fuori dei limiti visibili dell’essere vivente, al di qua come al di là del creato. Per oltrepassare le barriere che ci imprigionano, per liberarci, avvicinarci al divino, possiamo prendere l’una o l’altra via. La via śivaita è la via tantrica, tamasica, che utilizza come punto di partenza le funzioni fisiche e gli aspetti apparentemente negativi, distruttivi, sensuali dell’animale umano, mentre la via sattvica usa come strumenti l’ascetismo, la virtù, l’intelletto. La via sattvica è ritenuta inefficace nel Kali Yuga (Alain Daniélou; Śiva e Dioniso. La religione della natura e dell’eros, pp. 134-135).
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Per Plotino (205-270) l’uomo può, indagando introspettivamente la propria essenza (è il delfico-socratico Conosci te stesso), giungere alla mistica unione con il Divino, l’assolutamente semplice; questo perché c’è in lui una parte [un aspetto] non discesa dell’anima; detto in parole semplici: non vi è alterità nel reale, quindi l’uomo, nel suo profondo, non è altro-da-Dio, e quindi possiede in sé le capacità di farvi ritorno.
Anche Porfirio (234-305), seguendo il maestro, è convinto che la vera spiritualità debba fondarsi su un’esperienza interiore, e critica le forme superficiali ed esteriori della religiosità.
Il diretto discepolo di Porfirio, Giamblico (250-330) - seguito nel secolo successivo da Proclo (412-485) -, rifiuta la dottrina dell’anima “non discesa”, e ritiene invece che vi sia fra l’umano ed il Divino una frattura ontologica non sanabile con la sola contemplazione noetica. L’uomo ha bisogno del rito per liberarsi dai condizionamenti naturali e salvarsi. Sono dunque indispensabili tutti quegli elementi rituali e cerimoniali che permettono all’uomo tale impresa: formule magiche, sacrifici, simboli, legami simpatici, ecc.
Non è il pensiero che unisce i teurgi agli Dei; giacché, in tal caso, che cosa impedirebbe ai filosofi teoretici di raggiungere l’unione teurgica con gli Dei? Ma la verità non è questa. L’unione teurgica è prodotta dal compimento di azioni ineffabili che operano al di sopra di ogni possibilità di comprensione dell’intelligenza e dalla potenza dei simboli indicibili comprensibili solamente agli Dei. Perciò non è col pensiero che noi compiamo quelle cose; infatti, in tal caso, esse sarebbero effetti della nostra intelligenza e dipenderebbero da noi; ma né l’una né l’altra cosa è vera. Infatti, senza che noi esercitiamo il nostro pensiero i segni stessi operano per virtù propria, compiono l’attività che è loro peculiare, e l’ineffabile potenza degli Dei, ai quali queste cose sono rivolte, di per se stessa riconosce le proprie immagini senza essere svegliata dall’attività del nostro pensiero (Giamblico; De mysteriis, II, 11, 96 sg. Citazione tratta da: Giovanni Reale; Storia della filosofia antica, Vol. IV, pp. 650-651).
Chiunque ci abbia seguito fino a questo punto potrà facilmente comprendere che il costo di questa operazione tentata da Giamblico era altissimo. Essa significava esattamente la esplicita ammissione dell’incapacità della filosofia classicamente intesa a condurre l’uomo al raggiungimento del suo fine supremo. Ancora Plotino, come abbiamo sopra rilevato, ribadiva la convinzione tutta greca nella possibilità per l’uomo di realizzare l’«unione» con il Divino mediante le sue sole forze, mentre Giamblico nega ormai, a livello tematico, questa possibilità (Giovanni Reale; Storia della filosofia antica, Vol. IV, Giamblico e la sua scuola, pp. 651-652).
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Riporto anche un passo che ci spiega in che cosa consiste la Teurgia la quale, proprio come il Tantra, fa utilizzo anche del corpo:
Quel Giuliano che […] può essere verosimilmente considerato autore degli Oracoli Caldaici, è anche il primo che è stato denominato (o che si è fatto denominare) «teurgo». Il «teurgo» differisce essenzialmente dal «teologo», giacché mentre questo […] si limita a parlare intorno agli Dei, quello, invece, evoca gli Dei e agisce su di essi. Ma che cos’è, esattamente, la «teurgia»? Essa è la «sapienza» e l’«arte» della magia utilizzata per finalità mistico-religiose […]. E questi fini sono, come sappiamo, la liberazione dell’anima dal corporeo e dalla fatalità ad esso connessa e il congiungimento al divino. Il Dodds ha anche cercato di mostrare come, probabilmente, i procedimenti della teurgia si distinguessero […] in due tipi: a) quelli dipendenti semplicemente dall’uso di «simboli» […] e b) quelli che, per dirla con linguaggio moderno, fanno uso di una forma di trance medianica […]: «[…] un altro ramo della teurgia mirava ad incarnare temporaneamente la divinità in un essere umano […] «si riteneva che la divinità penetrasse nel corpo del medium, non per uno spontaneo atto di grazia, ma rispondendo alla chiamata dell’operatore o addirittura subendo la sua costrizione» [Dodds, I Greci e l’irrazionale, pp. 360-362] (Giovanni Reale; Storia della filosofia antica, Vol. IV, Gli Oracoli Caldaici, pp. 452-454).
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Che cosa ne penso? Non mi convince affatto! Il Tantra e la Teurgia si fondano su una visione storicistica del reale. Essi dicono: un tempo si poteva accedere direttamente al Divino ecc. però ora non si può più se non facendo così e cosà… ecc. perché il mondo è decaduto… ecc. Descrivono di fatto l’esperienza mistica, che è sovra-temporale, come un evento fenomenico come gli altri, condizionato dal periodo storico.
La scansione nelle quattro ère cicliche, e la nostra collocazione nel Kali Yuga, sono simboliche. Quest’ultimo [come pure le tre ère che lo precedono nel ciclo] non è un periodo storico ma bensì una condizione dell’anima, uno stato ontologico atemporale sempre presente.
Certo nei periodi - come il nostro - in cui una civiltà è in decadenza, e la misura del valore diventano il denaro, il piacere, il potere, l’ego, ecc., è più difficile condurre una vita in conformità con lo Spirito. Ma penso sia sempre possibile, attraverso il “distacco” mistico.
Concordo dunque con Plotino: in ogni tempo è possibile ricongiungersi con Dio; le altre questioni mi sembrano espedienti per riaffermare l’ego.
Si pensi agli eccessi cui giunge talvolta il Tantrismo shivaita [molto affine in questo ai Misteri dionisiaci]: orgiasmo, prostituzione sacra, sacrifici cruenti, omofagia, antropofagia; tutte manifestazioni secondo me più “sataniche” [nel senso di divisive] che mistiche [cioè unitive].
Non dico che non sia importante assumere il controllo della nostra mente e del nostro corpo [anzi nel mio libro dico proprio questo]; solo che non credo che questo possa realizzarsi attraverso riti e iniziazioni, ma bensì tramite la costante presenza [o attenzione consapevole, cioè precisamente la contemplazione costante di cui parla Plotino].
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