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Friday, June 2, 2023

La morte e la fanciulla – Necrofilia al femminile

di Bizzarro Bazar





Nella cultura occidentale, Eros e Thanatos sono interconnessi da sempre: il desiderio sessuale, che è esuberanza di vita, si rispecchia nel suo opposto, certo, ma talvolta vi coincide, trasfigurandosi. L’espressione francese la petite mort, usata per riferirsi all’orgasmo, fiorisce dall’idea che l’unione fisica sia una vera e propria fusione dei sensi – quindi annullamento dell’io e abbandono dell’identità singola. L’erotismo, scrive Bataille, “apre la strada alla morte. La morte apre la strada alla negazione delle nostre vite individuali”: per Foucault implica “l’esperienza della finitezza dell’essere, del limite e della trasgressione”, e nell’erotismo moderno le uniche forme di trasgressione ancora possibili sono quelle che vanno dal naturale al contro-naturale – verso la macchina, la bestia e il cadavere.



La vicinanza di amore e morte è talmente presente nell’arte e nella letteratura (sopprattutto nell’800, si pensi al topos della “bella morta” che attraversa le opere dei preraffaelliti come di Poe, Baudelaire e dei romantici) che sorprende quanto invece le indagini psichiatriche sulla necrofilia siano, in confronto, rare e sporadiche.

Pur accettandone le versioni artistiche e in qualche modo mascherate dal simbolo, sembra quasi che il desiderio necrofilo fosse per gli studiosi il più orrendo e abominevole dei tabù: perfino Freud si rifiuta di parlarne approfonditamente e, dopo averlo menzionato in una sola frase, esclama: “Ma basta con questo tipo di orrore!” (La vita sessuale). Bisognerà aspettare il 1989 per il primo vero studio sull’argomento, ad opera di Rosman & Resnick, che analizzarono 122 casi e suddivisero questa parafilia in tre tipi: omicidio necrofilo, necrofilia regolare, e fantasia necrofila – distinguendoli ulteriormente dalla cosiddetta pseudonecrofilia (quando cioè l’atto necrofilo è opportunista o incidentale). Nel 2011 Aggrawal pubblica l’unica ricerca interdisciplinare davvero approfondita, Necrophilia: Forensic and Medicolegal Aspects, che suggerisce nuove e più dettagliate classificazioni.

Escludendo le derive più estreme (assassinio, mutilazioni, cannibalismo), nella maggioranza dei casi il necrofilo è una persona dalla bassa autostima, che ha provato il sesso tradizionale e ne è rimasto insoddisfatto o umiliato: la motivazione più comune che spinge il necrofilo a desiderare il contatto con i morti è il bisogno di un partner che non opponga resistenza e che non possa rifiutarlo. In altri casi, essendo stato esposto in giovane età al contatto con un morto, il terrore provato è stato trasformato in pulsione sessuale, come spesso accade nei feticismi. Seguendo la sua fissazione, il necrofilo ricerca occupazione in luoghi di lavoro che consentano un accesso più facile ai cadaveri, come ospedali o agenzie funebri. Non è raro che la necrofilia si sviluppi in direzione “romantica”, acquisendo cioè una componente di affetto reverenziale per la salma, che non viene semplicemente violata ma spesso accarezzata, confortata, come se fosse possibile donarle ancora gioia o piacere. Alcuni necrofili hanno espresso il loro disgusto per gli operatori funebri che mostrano poco rispetto per i morti: paradossalmente, nella loro fantasia, il cadavere non è un morto, e deve essere nuovamente umanizzato, “riportato in vita”, cioè considerato come una persona vera e propria.

Nella nostra immaginazione la figura del necrofilo è sempre maschile, e la sua “preda” una giovane e bella donna. Ma cosa accade quando la parte attiva è una donna, e il partner inerme e indifeso un uomo?



Come nota Lisa Downing nel suo saggio sulla necrofilia nella letteratura francese dell’800, Desiring The Dead, il ripetuto focalizzarsi sulla penetrazione del cadavere negli scritti medici ha implicitamente relegato la necrofilia al regno della perversione maschile; pur essendo questa parafilia piuttosto rara (almeno stando alle statistiche forensi), la percentuale femminile si aggira attorno al 10-15% dei casi di cui siamo a conoscenza.



Nel 1979 in California, all’età di 23 anni, Karen Greenlee era alla guida di un carro funebre: doveva consegnare una salma di un uomo di 33 anni al cimitero per il funerale. Decise invece di scappare con il morto, e venne trovata due giorni dopo, ancora in compagnia del cadavere. All’epoca non c’erano leggi in California contro la necrofilia, quindi la Greenlee venne denunciata per furto di autoveicolo e per disturbo di cerimonia funebre. Ma nella bara venne trovata una lettera in cui Karen dettagliava i suoi incontri erotici con altri 40 cadaveri maschili, e la donna fu bandita dalla professione. In seguito, la madre del morto che Karen aveva sequestrato la citò per danni morali ed emotivi, e la Greenlee venne condannata a un periodo di carcere, una multa e un forzato trattamento psichiatrico.

Nel 1985, poco prima di ritirarsi a vita privata sotto nuovo nome, Karen Greenlee accettò di essere intervistata dal giornalista Jim Morton, in un articolo che diverrà noto con il titolo The Unrepentant Necrophile (“la necrofila impenitente”). Si tratta di un documento straordinario, per più di un motivo. Se inizialmente provava vergogna per i suoi desideri, all’epoca dell’intervista Karen sembra aver ormai accettato la sua condizione, e non è certo timida nel descrivere ciò che le piace:


il freddo, l’aura di morte, l’odore della morte, l’ambiente funerario… trovo l’odore della morte molto erotico. C’è odore e odore. Se prendi un corpo che ha galleggiato nella baia per due settimane, o una vittima di incendio, ecco, quello non mi attrae molto, ma un corpo imbalsamato di fresco è tutta un’altra cosa. C‘è anche questa attrazione per il sangue. Quando stai sopra a un corpo, tende a espellere sangue dalla bocca, mentre fai l’amore appassionatamente…

Nelle sue parole, il cadavere è oggetto d’amore e regala un’euforia particolare, quasi estatica; racconta inoltre di come si è introdotta di notte in obitori e tombe, e dice di essere stata sorpresa nell’atto più di una volta, senza conseguenze troppo gravi. Ma forse il momento più interessante è quando afferma che la domanda più comune che la riguarda è sempre la stessa: “come fa esattamente?”.
Per me non è un problema dire come lo faccio, ma chiunque abbia un po’ di esperienza sessuale non dovrebbe avere bisogno di chiederlo. La gente ha questo pregiudizio che ci debba per forza essere la penetrazione per la gratificazione sessuale, che è una stupidaggine! La parte più sensibile di una donna è comunque la parte frontale, e quella va stimolata. A parte questo, ci sono differenti aspetti dell’espressione sessuale: il contatto fisico, il 69, anche semplicemente tenersi per mano.

Il fatto che Karen Greenlee denunci la nozione fallocentrica e l’eccessiva importanza data alla penetrazione, è assolutamente in linea con la sua figura trasgressiva: questa donna infrange il tabù del sesso con i morti, e al tempo stesso inverte le gerarchie e i ruoli tradizionalmente femminili. Se n’è accorta Lena Wånggren, che nel suo saggio Death And Desire parla della necrofilia femminile come tragressione di genere: qui è la donna a “cacciare” e possedere, e il maschio diviene inerme e inanimato – l’esatto opposto della consueta figurazione che vede il maschio attivo e la femmina come passivo ricettacolo per la procreazione. La Greenlee non soltanto riduce il maschio a un oggetto, ma lo priva anche del mito del pene e della penetrazione.

In effetti, sembra che a suscitare scandalo sia proprio questo aspetto, ancor più che la necrofilia in sé: la Greenlee ricorda un fidanzato che, quando scoprì i suoi desideri, la schiaffeggiò e le disse che “non ero nemmeno una donna, e potevo andare a scoparmi i miei morti”. Ricorda anche uomini convinti di riuscire a “curarla”:
I ragazzi pensavano sempre che andassi alla ricerca di corpi morti perché mi mancava qualcosa, e che se fossi stata con loro mi avrebbero cambiato, e che loro erano quelli in grado di soddifarmi così tanto che non avrei più avuto bisogno dei cadaveri.

La storia di Karen Greenlee ha ispirato nel 1992 il racconto We So Seldom Look On Love di Barbara Gowdy, da cui è stato in seguito tratto il film Kissed (1996) di Lynne Stopkewich. Entrambe le opere seguono piuttosto fedelmente la vicenda della Greenlee, e ne approfondiscono ulteriormente gli aspetti legati alla trasgressione dei comportamenti sessuali di genere.


LITANIE PER UN’AMANTE FUNEBRE

Gabrielle Wittkop




« Comme ma soeur la nuit…»;
« Le morte di Mitilene / Rigettano terra dal cuore, / Le morte di Mitilene rigettano sangue dal ventre, / Le vulve sono sbocciate, / Rose nel cimitero di Mitilene, / Le morte s’avvinghiano, fremendo, / Alle rotonde interiora delle radici, / Sotto il buio d’argento, / Di lune rovesciate nelle pozze dell’edera, / Vergini marce di Mitilene. / Discepole stracciate, com’era bianco il vostro occhio, / Calce di carta, unghie, fossili, corni, / Ritornate, ritornate alle cloache marine. / All’anima del nostro eterno, / Alle piogge, ancora alle piogge, saliva della primavera, / Rifiorite, morte di Mitilene, / con i notturni calici delle regine di Lesbo » (estratto da G. WITTKOP, “Mitilene”).
« È la mosca che, impegnata a devastare l'interno dei teschi, produce “la poltiglia di bronzo che ronza”. Le litanie, canti sublimi di amore disperato e incredibili esercizi di magistrale autoerotismo, devono molto a questo animale. Non offendiamoci, un giorno questo tipo di incontri ci sarà familiare » (E. DUSSERT, “Prefazione” a: G. WITTKOP - selezione “collages” illustrativi a cura di Nikola Delescluse, “Litanie pour une amante funèbre”, Les Editions du Vampire Actif, 2017).
L’immagine che presenta questo articolo è una fotografia [censurata in modo volutamente grezzo per poterla condividere] della potente e controversa Irina Ionescu (di cui parleremo in uno dei nostri prossimi appuntamenti), che campeggia sulla copertina dell’edizione italiana della raccolta di poesie dalle sonorità rimbombanti e infere, di cui stiamo per trattare: un esempio straordinario in cui testo ed edizione costituiscono la preziosità unica di un’Opera.
Il libro d’arte che sottoponiamo alla vostra attenzione e con il quale faremo un viaggio di suggestioni è raro, delicato ed oramai introvabile: l’edizione di Cegna Editori, un fiore fragile che si sgualcisce al solo sguardo; lasciamo a voi l’onere del mero approfondimento delle tematiche accostate (il tema della Fanciulla e della Morte, delle Vanitas, di Eros e Thanatos, fino a sfiorare la necrofilia), preferendo accompagnarvi nella poesia che contiene, come se avessimo dissepolto insieme uno scrigno dagli intestini della fertile terra e, dopo averlo ripulito dalle grasse zolle, con le mani tremanti lo aprissimo.
Prepariamoci ad allungare il collo per accogliere il “benefico morso” wittkopiano: « Il dente prepara il sangue che passerà nell'altro sangue, è il grande mago, iniziatore delle supreme metamorfosi ».
Gabrielle Wittkop è una scrittrice-poetessa, al secolo Gabrielle Ménardeau, nata a Nantes (Francia) il 27 Maggio 1920: dopo aver trascorso la sua giovinezza a Parigi, si sposa col disertore tedesco Justus Franz Wittkop e si trasferisce in Germania. Autrice -tra le tante cose- dello scandaloso romanzo “Le Nécrophile”; traduttrice per Gallimard e collaboratrice del “Frankfurter Allgemeine Zeitung”; studiosa di zoologia ed anche illustratrice, Gabrielle diviene nota per i suoi “collages” di soggetto macabro e sadico, ispirati all’espressione grafica giapponese: muore a Francoforte sul Meno il 22 dicembre 2002.
« “Litanie Per un Amante Funebre” è un suo romanzo necrofilo, pubblicato per la prima volta nel 1977, che contiene 31 poesie accompagnate da 33 fotografie, sullo stesso argomento, di Irina Ionesco. Si tratta di un libro con un design molto particolare e lo si può definire un libro incantato, completamente magico sia per l’argomento che per le fotografie, così misteriose, che per i disegni che incorniciano o gli uni o le altre » (descrizione dalla casa di vendita di testi pregiati “Micamera”, https://www.micamera.com/.../litanie-per-un-amante.../ ).
Gabrielle, mago della parola, divoratrice del sacro, beffa funebre, evocativa dell'assoluto: chiediamoci di quali orpelli di moralità dobbiamo sbarazzarci per leggere questa scrittrice della completezza con voluttuoso radicalismo. “In un lampo di magnesio” ricordiamoci che « la contraddizione tra la modestia del segreto, l'altezza, la distanza e, d'altra parte, la furia di spiegare, lacera l'uomo creativo. Rifiutando di essere capito, crea tuttavia in modo che alcuni capiscano. Si arrende in sua difesa. Vuole e non vuole. Incapace di impedire a se stesso di creare - perché non è onnipotente - cede alla sua inclinazione lamentando la perdita del mistero. […] Traccia dei segni e vorrebbe che fosse sulle finestre fumanti. […] E soprattutto, soprattutto, ferisce la lode, uno scorpione che viene dal basso ».
 
La preziosità del vocabolario delle “Litanie di un’amante funebre” è pari solo al potere delle visioni: « Fallo gigante nel pube dell'amante, / Il giglio balza verso il seno dell'amante, / Splendido e duro di ossa miste, / Il giglio sgorga dalla tomba degli amanti ». Erodiade, « il tuo vello grida e puzza sulle ciglia della terra desolata »; l'ispirazione è mitologica, cristiana, (Maria Maddalena), “artaudiana”.
« Mi hai dato la bambola / per metterci degli spilli, / per piantarci dei cristalli / e per imprimerla con un ferro da stiro ». Ecate è in calore e la badessa è una “sputatrice di ostie”, una “leccatrice di urina”, una “cagna indegna”; si tratta di un lungo stupro perpetrato in una cappella infuocata una notte d'Agosto quando “fermenta la peste”: è la resurrezione dei morti, “sangue coagulato”, “occhi cavati”, labbra cadute. Serpenti e arcangeli si avvolgono intorno alla kore, “strofinata con mandragora”. Occhio trafitto, seno gonfio di latte vergine, Gabrielle Wittkop apre il suo calice con i lati dei coltelli.
In una lettera datata 23 e 24 novembre 1783, Donatien de Sade scrisse a Madame de Sade che chiamava affettuosamente “maiale fresco dei miei pensieri” questo: « per quanto barocche possano essere [le fantasie], li trovo tutti rispettabili, e perché non sono il padrone, e perché il più singolare e il più bizzarro di tutti, ben analizzato, si rifà sempre a un principio di delicatezza ».
Le opere letterarie di Gabrielle Wittkop sono tutte fantasie funebri e delicate stampe: la sua “voce prodigiosa” fuori dall'oscurità ci ricorda cosa significhi essere umani e ci mostra esattamente quali siano le condizioni dell’esistere, non sempre molto “chic”.
Gabrielle è viva e lo afferma, è in comunicazione permanente con gli elementi della vita e quindi quelli della morte; non è mai in separazione, è in accettazione: « Cosa c'è da decifrare? Poiché la verità è la parte del discorso che viene ignorata. Senza contare che ci sono varie verità in quanto vi sono varie forme di silenzio ».
Gabrielle insegna l'anormalità della vita senza morte; è un incisore “a mezzatinta”: « questi strumenti che schiacciano o asportano materiale, e quindi spessore nella rete di punti precedentemente ottenuta, rivelano gradualmente la luce nell'immagine »; « Partiamo qui dal nero più denso per arrivare al bianco puro in fasi successive ».
Ecco Gabrielle, le scene del cui meraviglioso teatro interiore riempiono il nostro “schermo intimo” costringendoci a pensare, ogni volta che chiudiamo uno dei suoi libri: “è stato terribile, ma le meraviglie lo sono di più »; ci fa sapere che « una delle sfide essenziali della sua scrittura è sempre stata quella di essere all'altezza di questa luce nera emanata dal marchese de Sade ».
Seguiamo il corso del pensiero wittkopiano: « E se il mio fuoco non può essere calore, lascia che emetta chiarezza, lascia che sia luce incandescente, luce, infine luce, lascia che sia luce prima di morire »; andiamo alla deriva con lei: « Scivola nella grande deriva, scivola gradualmente nel nero o nel bianco, nessuno conosce il colore dell'annientamento » (se non, forse, lei soltanto).
Cambieremo il nostro vocabolario, mentre leggiamo Gabrielle; prenderemo confidenza con il linguaggio usato per nominare il mondo che ancora non abitiamo, ma che abiteremo prima o poi. Gabrielle esorta i lettori vivi ad alzarsi, ma permette ai morti di conoscere la loro ultima avventura senza ribellarsi: « diceva cose oscure, frasi abbaglianti, parole che affondavano come pietre gettate nelle acque della memoria »; obbliga i suoi lettori a ricordare l’ “alchimia cosmica” da cui provengono e alla quale si riuniranno, abbandonandosi all'operazione delle “forze naturali”, delle “forze cosmiche”, « quelle della materia e quelle della nostra anima oscura e deperibile ».
Eccole dunque, le forze che innescano un’ “erezione floreale” nel suolo dei morti e che generano la sorprendente bellezza: « Il giglio / sgorga / dalla tomba letto / degli innamorati »; Gabrielle invita i suoi lettori a immaginare « l'impossibilità […] di una nozione definitiva della morte come fenomeno assoluto ».
Una nuova libertà è offerta a chi legge colei che « odia tutto ciò che aliena l'indipendenza »; « Penso che ciò che la preoccupava fosse il suo lavoro e la sua dignità di essere umano. Penso che fosse una persona molto speciale oggi ma allo stesso tempo molto necessaria. E spero che le persone che la leggono possano attingere a questi elementi, a queste nozioni per arricchirsi e anche per riprendersi quando serve » (Eric Dussert, cit.).
« Quando diventerò una lunga crisalide
Giacente nei sotterranei d’un ospedale,
Quando la mia fronte diventerà d’opale,
La mia chioma secca e fluente,
Il mio corpo un corno scavato,
Nel quale muggiranno i tritoni della morte,
Le mie dita d’osso guantate di cuoio floscio,
I miei occhi di calce, asterie torturate,
Quando la mia gola diventerà gonfia di alghe di pelle,
E il mio cervello un’ostrica corrotta,
Dove custodirò l’oro e l’incenso dei tuoi seni?,
Dove, l’ultima eco del tuo nome? »
(da: “Quando diventerò”, in “Litanie di un’amante funebre”).
Colonna sonora consigliata: JIMMY CROSS, “I want my baby back”, 1965, https://youtu.be/h0x8S1U7O3w
Link alla rubrica ARTE & IMMAGINALE:
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