Di Anonimo
Ad Agrigento, in tempi remoti, giunse uno straniero dall’aspetto raffinato. Alto, vestito con eleganza, portava con sé un fascino irresistibile, un’aria signorile che lo rendeva simile a un grande signore. Ovunque andasse, la gente lo osservava con ammirazione: il suo sorriso era capace di conquistare anche i cuori più diffidenti, e la sua cordialità sembrava attenuare ogni distanza sociale.
Quell’uomo non era un uomo. Era il diavolo.
Sotto il volto gentile, celava le forme mostruose della sua vera natura: coda, corna, occhi di fuoco, simili al traghettatore dantesco che guida le anime lungo il fiume infernale. Eppure, quando desiderava una preda, il maligno sapeva indossare le sembianze di un cavaliere.
Trascorsi pochi giorni dal suo arrivo, il diavolo posò lo sguardo su una giovane agrigentina: Lucia. La ragazza aveva la freschezza di un bocciolo di rosa in maggio, la purezza delle vette del Carmelo, la gioia luminosa di un’alba di primavera. Bellezza e candore che avrebbero dovuto scoraggiare il maligno, invece ne accesero la brama.
Lucia sentiva l’insistenza di quell’uomo come l’assalto di un esercito che cinge d’assedio una fortezza. Ogni suo gesto era elegante, ogni parola seducente, ma in quell’incanto c’era qualcosa di oscuro, un’ombra che la faceva rabbrividire. Intuiva che dietro la promessa di felicità si nascondeva un abisso senza fondo.
Il corteggiatore non si arrese. Vestito da cavaliere, moltiplicò i suoi tentativi. Le offrì ricchezze, terre, tesori vasti quanto la sua stessa ambizione. I suoi occhi, neri come le more di campagna, ardevano di desiderio. Ma Lucia rispose sempre con fermezza: «No, no, no!». La sua fede la sosteneva.
Il rifiuto accese l’ira del diavolo. Decise allora di usare l’arma più sottile: la parola scritta. Redasse una lettera piena di promesse e lusinghe, in cui si proclamava suo schiavo e la innalzava a regina. Dichiarava di vivere soltanto per lei, di voler fondere in una sola le loro anime, e concludeva con un invito che sapeva di condanna: «Confondiamo, adunque, e leghiamo in una sola le nostre due anime, e la felicità sarà nostra!»
Lucia, leggendo, sentì il cuore travolto da una tempesta. Il desiderio di lasciarsi andare e la paura di smarrirsi si scontravano dentro di lei. Le parole di quella lettera le sembravano ardere come fiamme di passione, mentre una voce segreta, profonda e misteriosa, la ammoniva: «Fuggi, non dargli ascolto!». Ma subito un’altra voce, insinuante, la tentava: «Vieni, fuggiamo insieme. Ti dono amore, vita, ricchezza!».
In quel tormento, il suo cuore rischiava di spezzarsi.
Nella notte, la Madonna le apparve in sogno. Con dolcezza materna le disse:
«Lucia, so quanto soffri. Porta quella lettera al tuo confessore. Segnati tre volte con la Croce del mio Figlio adorato, inginocchiati e ascolta la mia voce. Sarai salva. Quella lettera resterà nei secoli a testimoniare la vittoria sul nemico».
All’alba, Lucia si svegliò come rinata: serena, leggera, libera. Seguì il consiglio della Vergine e consegnò la lettera al sacerdote, che a sua volta la portò al Vescovo. Da allora, quel documento venne custodito con cura nella chiesa madre di Agrigento.
Lucia si salvò, il maligno tornò a inabissarsi nelle sue tenebre, e la lettera rimase come prova tangibile della vittoria della luce. Una vittoria accaduta in una terra verde e splendida, la Sicilia.