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Monday, February 17, 2020

L'ESPERIENZA EXTRASENSORIALE DI JUNG

di Giulio Caratelli

Una probabile NDE con premonizione

Carl Gustav Jung (1875-1961)
Quando aveva 69 anni, un giorno Carl Gustav Jung, il grande psicologo svizzero fondatore della psicologia analitica, propositore dell’inconscio collettivo, avvertì la precisa sensazione di una uscita dai limiti fisici del proprio corpo, quindi di fluttuare nello spazio e di salire molto in alto. Essendo ben complesso e piuttosto esteso il pensiero di Jung sulla probabilità che la vita continui dopo la morte, sui fenomeni post-mortem, sulla possibilità che la psiche possa trovarsi in un continuum extra-spazio-temporale e la connessione di ciò con la percezione extrasensoriale – e tutto questo necessiterebbe di un’ampia trattazione – ci limitiamo in questa occasione a brevi e sintetiche note illustrative di taluni moment i della nota esperienza di Jung del 1944, che si protrasse per ben tre settimane; esperienza peraltro molto ricca in sé di svariati connotati a livello simbolico, di interrogativi sul senso dell’esistenza terrena, un’esperienza che con tutto il peso delle indispensabili ca utele può essere in qualche maniera assimilabile a una “Esperienza di pre-morte”, ampiamente conosciuta con la specifica terminologia inglese Near-Death Experience, “esperienza in prossimità della morte”1. Essa scaturì, primariamente, dal fatto che Jung si fratturò una gamba, un incidente che si complicò per problemi cardiaci. Jung cadde in condizioni di incoscienza e durante questo delicato frangente della sua esistenza, oggettivamente trovandosi in serio pericolo di morte, ebbe la sensazione di essere trasportato in alto nello spazio, arrivando – del tutto sospeso nel vuoto – addir ittura a circa 1500 Km di distanza dal nostro pianeta, che poteva osservare meravigliosamente avvolto di una luce azzurrina e del quale poteva ugualmente scorgere agevolmente la forma sferica e diversi particolari geografici, i profili delle terre e degli oceani2. E lassù scorse anche una pietra di rilevanti dimensioni e di colore scuro, sospesa nello spazio. In essa era rilevabile lo scavo di un tempio e, nel momento in cui si accingeva ad entrar vi, provò delle misteriose sensazioni, sentì che il proprio passato personale, in qualche maniera, gli era stato completamente tolto. Così, nella sua autobiografia, racconta Jung con espressioni molto suggestive, spunto per molteplici riflessioni: “Quando mi avvicinai ai gradini che portavano all’entrata accadde una cosa strana: ebbi la sensazione che tutto il passato mi fosse all’improvviso tolto violentemente. Tutto ciò che mi proponevo, o che avevo desiderato, o pensato, tutta la fantasmagoria dell’esistenza terrena, svanì, o mi fu sottratto: un processo estremamente doloroso. Nondimeno qualcosa rimase: era come se adesso avessi con me tutto ciò che avevo vissuto e fatto, tutto ciò che mi era accaduto intorno. Consistevo di tutte quelle cose, per così dire; consistevo della mia storia personale […]. Questa esperienza mi dava la sensazione di un’estrema miseria, e, al tempo stesso, di grande appagamento. Non vi era più nulla che volessi o desiderassi. Esistevo, per così dire, oggettivamente; ero ciò che ero stato e che avevo vissuto”. Egli nota ancora: “Rifuggiamo dalla parola «eterno», ma posso descrivere la mia esperienza solo come la beatitudine di una condizione non-temporale nella quale presente, passato e futuro siano una cosa sola. Tutto ciò che avviene nel tempo vi era compreso in un tutto obiettivo, nulla più era distribuito nel tempo o poteva essere misurato con concetti temporali. Tale esperienza potrebbe semmai esser definita come un certa condizione del sentimento, che non si può però immaginare. Come posso immaginare di essere contemporaneamente così come ier l’altro oggi e dopodomani?”. In ogni caso Jung, di fronte a quei vissuti personali molto particolari e comunque caratterizzati da un grande senso di realtà, non volle andare “oltre”, non volle dare un rilevante e decisivo peso all’ipotesi che la psiche potesse funzionare ai margini o fuori del cervello, con tutte le profonde implicazioni che ne susseguono. E li valutò, quindi, come il risultato finale di profondi processi psicologici, in altri termini come una “visualizzazione del Sé” e pertanto una “individuazione compiuta”, vale a dire quello che nell’ambito proprio della psicologia junghiana rappresenta il punto terminale dello sviluppo psichico che conduce a un ampliamento della nostra coscienza. Oggi – epoca in cui le Near Death Experiences, indubbiamente ancora caratterizzate da molteplici aspetti enigmatici, sono tuttavia al centro di molteplici ricerche condotte ad esteso livello interdisciplinare, compresa la partecipazione in tale contesto di indagine della stessa parapsicologia e della ricerca sulla sopravvivenza dopo la morte – Jung avrebbe potuto mutare almeno parzialmente le proprie opinioni su tali esperienze, ferma restando la difficoltà di pervenire a conclusioni finali. Non bisogna altresì trascurare che nel corso del procedere della sua esperienza, tra le varie visioni da lui esperite sempre ricche di intense emozioni, Jung ebbe la rappresentazione del proprio medico con l’aspetto di “re di Coo”. Isola del Dodecanneso, Coo fu famosa nell’antichità per la presenza del Santuario di Esculapio, dio della medicina, come pure per aver dato i natali al grande medico Ippocrate. Superata la lunga fase critica e ritornato finalmente alla condizione di veglia e quindi allo stato di usuale consapevolezza, Jung interpretò tale specifica immagine a carattere simbolico, riguardante il proprio medico curante, come una premonizione di morte, riguardante appunto quella persona. In effetti, trascorso qualche mese, il medico morì.

 
BIBLIOGRAFIA 
 
Caratelli G., “Il problema dei fenomeni paranormali in Freud e Jung”, tesi di laurea, Università degli Studi di Roma “La Sapienza”, Facoltà di Magistero, Corso di laurea in Psicologia, aa 1982-1983, relatore prof. A. Carotenuto, correlatore Prof. P. Bertoletti, si vedano le pp. 206-209 [non pubblicata].

Caratelli G., “Aspetti precognitivi”, Scienza e Cultura nel Mondo, Anno XV N. 3 Settembre-Dicembre 2012, p. 15.

Caratelli G., “Fenomeni di precognizione in Carl Gustav Jung”, Scienza e Cultura nel Mondo, Anno XVII N. 2 Maggio-Agosto 2014, pp. 35-39 (si vedano le pp. 35-36).

Giovetti P., “Jung e la parapsicologia”, Luce e Ombra, Anno 82° N. 1 Gennaio-Marzo 1982, pp. 47-58 (si vedano le pp. 56-57).

Giovetti P., “C. G. Jung, creatore della psicologia analitica”, Luce e Ombra, Anno 111 N. 3 Luglio-Settembre 2011, pp. 233-242 (si veda p. 240).

Jaffé A., “C. G. Jung e la parapsicologia”, Luce e Ombra, Anno 116 N. 2 Aprile-Giugno 2016, pp. 141-158 (si vedano le pp. 149-150).

Jung C. G., Ricordi, sogni, riflessioni di C. G. Jung, a cura di A. Jaffé, Rizzoli, Milano 1978, pp. 344-352 (pp. 345-346 e 351 per le citazioni).


_________________________
 
1 . Si ricorda utilmente, in brevissima sintesi, che per quanto concerne tale esperienza, coinvolgente un ristretto ma comunque significativo numero della popolazione, sorprendentemente caratterizzata dal vario concorso di molteplici vissuti (oltre la EEC: la “visione panoramica della propria vita”, il sentimento di passaggio molto veloce attraverso un tunnel, la visione di luci intense e paesaggi luminosi, il forte disagio provato a “rientrare” a un certo punto nei limiti del proprio organismo fisico, etc.), il soggetto interessato non muore realmente ma arriva unicamente all’estrema soglia di processi fisici, biologici irreversibili; e, malgrado l’oggettiva gravità delle sue condizioni, come spesso si suol dire, “ritorna in vita”, ovvero supera quel frangente assai critico, la grave sopraggiunta crisi vitale, riferendo quindi successivamente,con la migliore approssimazione possibile, le eventuali visioni e i connessi propri sentimenti, le sorprendenti peculiarità essenziali – senz’altro particolari e talvolta non facilmente definibili verbalmente – di quei delicati momenti.
 
2. Si potrebbe assimilare a una delle diverse componenti della EPM, ovvero la cosiddetta “Esperienza extra-corporea” (EEC), detta anche, con terminologia inglese, Out of Body Experience (OBE), “esperienza fuori dal corpo”. Da notare che nella presunta EEC di Jung manca il particolare vissuto di osservare – da un punto di vista e prospettiva sempre  esterno – il proprio corpo fisico incosciente, immobile e inanimato, esperienza denominata “autoscopia” oppure “visione autoscopica” (da considerarsi in tale contesto differente dall’omonima sindrome psichiatrica) che è statisticamente riferita da una porzione di  quanti sono stati coinvolti in una EEC (Pacciolla A., EPM. Esperienze pre-morte. Fenomenologia e ipotesi interpretative, San Paolo, Cinisello Balsamo -MI 1995). Si vedano le pp. 97-100 su tale questione, in cui Pacciolla indica il 30 per cento.

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