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Friday, August 11, 2023

L’ Effetto Rashomon

di Dott.ssa Marilena Cremaschini

L' Effetto Rashomon sono i mille modi di percepire una situazione.
A tutti è sicuramente capitato di sentire il racconto di una vicenda fatta da più persone, ma nonostante tali persone siano tutte sincere, ogni racconto si arricchisce di particolari e circostanze diverse, come se non stessero raccontando la stessa vicenda.
Si tratta dell'Effetto Rashomon, un fenomeno provocato dalla soggettività nel quale le persone raccontano la stessa storia in modo diverso.
Tuttavia, questo non significa che una delle versioni sia falsa ma semplicemente che viene filtrata attraverso delle diverse percezioni individuali.
Una verità relativa, personale che comunque è la verità di chi la racconta.




Friday, April 8, 2022

CHI E' GIOVANNI COLAZZA... LA PERSONA PIU' ELEVATA DOPO RUDOLF STEINER

di autore anonimo

« Secondo la testimonianza di Olga de Griinewald, Giovanni Colazza non solo era il discepolo più caro a Rudolf Steiner, ma la figura più elevata dopo di lui » J.

Giovanni Romano Colazza nacque a Roma, in una famiglia del­l'alta borghesia romana, il 9 agosto 1877. Proveniente da studi classi­ci, si laureò in Medicina e Chinirgia nel 1902

presso l'Università « La Sapienza » di Roma. Uomo di scienza, fin da giovane si applicò con rigore alle discipline esoteriche, tanto orientali che occidentali.

Durante uno dei suoi numerosi viaggi in Europa conobbe Marie Von Sivers (1867-1948), divenuta in séguito Signora Steiner, con la quale rimase in stretto rapporto di amicizia per tutta la vita. Fu pro­prio Marie Von Sivers a presentare Giovanni Colazza a Rudolf Stei­ner, il quale, secondo la citata testimonianza della baronessa de Griinewald, sarebbe tornato in Italia nel 1911 — dopo le precedenti visite del 1909 e 1910 2 — espressamente «a conoscere il dottar Colazza, perché "gli era stato indicato dal Mondo Spirituale" » 3.

Rapidamente Colazza divenne discepolo del dottar Steiner, che lo po­se alla direzione del Movimento Antroposofico in Italia, dopo la fon­dazione del Gruppo Novalis nel 1913. Il Gruppo Novalis di Roma fu, per altro, il primo gruppo antroposofico in Italia.

Nel 1916-17, in qualità di ufficiale medico di campo, combattè in trincea la prima guerra mondiale. Tornato a Roma, ben presto il prestìgio e la notorietà della sua professionalità medica si accrebbero tanto da diventare Egli il medico di quasi tutte le Ambasciate e Lega­zioni straniere, pur rimanendo il medico a disposizione di tutti, senza distinzione di censo e cultura. L'arte medica trovò in Lui felice espres­sione, arricchendosi ulteriormente nel contatto con l'ispirazione più viva della Scienza dello Spirito.

Dopo la fine del primo conflitto mondiale, almeno una volta l'an­no, G. Colazza si recava a Dornach per visitare il dottar Steiner, cui riferiva di se stesso e del lavoro spirituale presso il Gruppo Novalis da Lui presieduto, e frequentato, fra le numerose e notevoli persona­lità, da Emmelina de Renzis, Colonna di Cesare, Arturo Onofri, ecc. Nel 1922, Colazza tenne in Roma una serie di incontri riservati in­tomo ai « Quaderni Esoterici » di R. Steiner.

In séguito alla scomparsa dello Steiner, nel marzo del 1925, si intensificò il collegamento « di intcriore operosità » con la Signora Stei­ner. « I signori Calvari, padre Trincherò, la baronessa de Renzis e Grii-newald, il poeta Onofri, il conte Colonna di Cesare e Calabrini, il dott. Colazza, l'ingegner Gentilli, Spaini, Federici ed altri, compose­ro intomo alla sua persona [della Signora Steiner] un serto di vario­pinte colorazioni umane, sul cui intreccio per lunghi anni, fu vivificata una successione di interessi e di comunione continua, intomo al lavo­ro che si svolgeva in Italia » 4.

Tra il 1927 ed il 1930, G. Colazza aderì al « Gruppo di UR » — partecipando all'omonima Rivista diretta da J. Evola — che rac­coglieva i più prestigiosi esoterìsti d'Italia uniti, pur provenendo da orientamenti diversi, da nobili finalità comuni ^.

La sua attività di conferenziere e di Guida fu instancabile. Dal 1943-44 fino alla sua scomparsa, raccolse intomo a sé coloro che sa­rebbero stati i più vivi cultori di Scienza dello Spirito in Italia, prepa­randoli ed esortandoli con l'esempio della sua alta statura morale, oltre che con le sue lezioni sulle opere fondamentali dello Steiner. Tra que­sti ricordiamo Mimma e Romolo Benvenuti, i giovanissimi Marianna ed Amieto Scabellone, Fiorenza Berta, Pio Filippani-Ronconi. Da una lettera di Giuseppe Federici indirizzata a Massimo Scaligero (1906-1980), in data: Napoli, 27.2.1948, apprendiamo che la Signo­ra Steiner, visitata dal Federici, così ebbe ad esprimersi circa questo gruppo: « II nostro amico Giovanni Colazza mi ha fatto pervenire da Roma messaggi di speranza per l'Italia. So che in questi anni [durante la guerra e l'immediato dopo-guerra] non ha mai interrotto il suo la­voro di riunioni, incontri, visite: mi dice che ci sono giovani e giova­nissimi che ricercano, che sono decisi e ciò corrisponde proprio a quanto il Dottore, a suo tempo, ebbe già a prevedere » 6.

Essendosi sempre rifiutato di scrivere, il suo magistero si espresse attraverso un'arte inimitabile della parola e del silenzio. Soprattutto il suo silenzio, causa per taluni di qualche disagio, evocava l'immagi­ne austera di un « maestro zen », o altre ineffabili risonanze 7. « La sua massima riservatezza, il suo rigido autocontrollo, parve ad alcuni severità, tale da incutere non soltanto un "timore reverenzia­le", bensì un disagio vero e proprio. A smentire questa fallace impres­sione basterà rievocare la gioiosa fiducia avuta in lui dai bambini — o curati o a lungo ospitati — che, nella loro spontanea, schietta, cal­da espansività, non si sentirono mai ostacolati dalla sua serietà, pre­gna di comprensione e pronta soccorrevo lezza » 8.

Nel 1951 concordò con Massimo Scaligero, personalità di spicco tra i suoi amici, di svolgere per la prima volta in Italia la « prima clas­se della Scuola Esoterica » istituita da R. Steiner. Tale impegno, mi­rabilmente assolto, deve considerarsi l'opera finale e conclusiva di Giovanni Colazza.

Morì il 16 febbraio 1953, stroncato da ictus cardiaco, nell'eser­cizio della sua professione medica. Centinaia di persone, di ogni estra­zione sociale, testimoniarono alle sue esequie l'amore e la stima che Egli aveva suscitato durante tutta la sua operosa vita.

Così come il dottar Colazza, tre giorni dopo la morte di Marie Steiner (27 dicembre 1948), « raccolse nel suo studio, al Corso d'Ita­lia, tutti gli amici e celebrò l'elogio supremo, che risuonò come un inno dì gratitudine, di elevazione a Colei che gli era stata amica dilet­ta, inferiore orientatrice per molti anni della sua vita [...] » 9, nel mo­mento del dolore e del disorientamento sopraggiunto alla sua scomparsa, toccò a Massimo Scaligero il compito di rianimare gli amici e di con­fermare la continuità di un'opera che non poteva essere interrotta. In tale compito, interamente assolto con fedeltà assoluta, Massimo Sca­ligero fu assistito fino alla fine (26 gennaio 1980) da quella ignota personalità cui egli stesso allude alle pp. 72 e 87 del suo Dallo Yoga alla Rosacroce, ed alla quale noi stessi siamo debitori di queste essen­ziali notizie biografiche, ma soprattutto della memoria indicibile di quell'Impulso che, tra passato e futuro, illumina la nostra tradizione.

In merito alla partecipazione alla rivista UR, M. Scaligero ci pre­cisò, in un colloquio personale, che il dottar Colazza non era in real­tà l'estensore degli articoli firmati con Usuo pseudonimo: Egli infatti sì limitava ad illustrare gli argomenti al direttore della Rivista, il qua­le provvedeva poi a redigerli per iscritto 10. Tale circostanza, estrema­mente indicativa di quella temperie spirituale, dell'alto senso di responsabilità ed impersonalità di quei ricercatori, ci ha confortato nella difficile decisione di redigere il ciclo di quattordici conferenze che G. Colazza tenne in Roma, con cadenza settimanale, dal 4 gen­naio al 12 aprile 1945, a commento del libro di Rudolf Steiner L'Ini­ziazione 31. La stesura che ne è derivata si discosta sensibilmente, nella forma, dal testo dattiloscritto in nostro possesso, al quale ci si è co­munque riferiti curando di rispettarne il più possibile lo « stile » ed il lessico. Tale testo, mai rivisto dall'autore, tratto per altro da uno stenogramma comprensibilmente lacunoso ed approssimativo, ci è stato gentilmente fornito dal Gruppo Novalis di Roma, al quale rivolgia­mo un sentito ringraziamento.

Sulla rivista Graal, 1-18, 1983-1987, avevamo già pubblicato, a puntate, le singole conferenze, che ora ripresentiamo, in una ulteriore edizione riveduta e corretta, nella forma di un libro organizzato in sette capitoli — ossia due conferenze per capitolo — cui abbiamo noi dato i titoli, secondo il criterio della immagine-sintesi degli argo­menti. Abbiamo visto così, non senza meraviglia, nascere un'opera dotata di vita propria: di dimensioni contenute, ma di poderoso respi­ro intcriore. Nulla abbiamo aggiunto che già non vi fosse: abbiamo soltanto composto la parola parlata secondo le esigenze della pagina scrìtta.

Nell'imminenza del quarantesimo anniversario della morte di Gio­vanni Colazza, crediamo non vi sia celebrazione più opportuna della pubblicazione di questo libro: con esso non si intende violare il magi­co silenzio del quale Egli rivestì il suo magistero, ma attestarne l'in-temporale continuità. Devotamente.

NOTE

1 M. Scaligero, Dallo Yoga alla Rosacroce, Roma 1972, p. 85. Scaligero

ritiene « fondamentale » questa testimonianza, perché la de Griinewald era par­ticolarmente vicina sia al dottor Steiner che alla Signora Steiner, sua amica d'in­fanzia.

2 Memorabili, in quelle occasioni, le conferenze tenute a Roma, ospite del­la principessa Elika del Drago, ed a Palermo. Vedi R. Steiner,Sulla via di Dama­

sco, Roma 1990, pp. 131, 168, nn. 1-2.

3 Scaligero, op. cit., pp. 86-87. Vedi anche E. Pappacene,

Di alcuni cul­tori della Scienza dello Spirito, Bari 1971, p. 188; anche Nicómachus, « Ricordo di Giovanni Colazza », Graal, 4, 1983, pp. 168 ss.

4 Orao, « Marie Steiner. L'Anima della Fedeltà », Graal, 25-26, 1989,

5 Sulla consistenza e l'importanza del contributo alla rivista UR-KRUR cfr. la ristampa fotostatica da noi edita, 3 voli., Teramo-Roma 1980-82) dei ri­cercatori orientati secondo l'indirizzo scientifico-spirituale, vedi Scaligero, op.

cit., pp. 81-82.

6 La bellissima lettera del Federici è leggibile per intero in Orao, op. cit., pp. 35-36. 7 Nicómachus, op. cit., p. 171.

8 Pappacena, op. cit., p. 189.

9 Orao, op. cit., p. 17.

10 Cfr. J. Evola, II cammino del cinabro, Milano 1963, p. 90: « Se fra i col­laboratori [di UR] si trovava qualche personalità nota, che accettò parimenti la regola dell'anonimia, vi erano però anche persone che in precedenza non aveva­no mai scritto e di cui io stesso avevo annotato alcuni insegnamenti dandovi una forma adeguata, salvo la loro approvazione definitiva del testo ». Sulla conside­ razione dell'Evola per G. Colazza, ibid., p. 29: « [...] ebbi anche occasione di

conoscere alcune personalità aventi effettivo valore, separabile dalle teorie a cui si appoggiavano. Ricorderò Decio Calvari, presidente della Lega Teosofica Indi­

pendente di Roma, Giovanni Colazza, che egualmente a Roma dirigeva un cen­tro antroposofico, cioè steineriano, il poeta Arturo Onofri che [...] aveva aderito allo stesso indirizzo ».

11 Vedi nota a p. 15.





Monday, February 17, 2020

L'ESPERIENZA EXTRASENSORIALE DI JUNG

di Giulio Caratelli

Una probabile NDE con premonizione

Carl Gustav Jung (1875-1961)
Quando aveva 69 anni, un giorno Carl Gustav Jung, il grande psicologo svizzero fondatore della psicologia analitica, propositore dell’inconscio collettivo, avvertì la precisa sensazione di una uscita dai limiti fisici del proprio corpo, quindi di fluttuare nello spazio e di salire molto in alto. Essendo ben complesso e piuttosto esteso il pensiero di Jung sulla probabilità che la vita continui dopo la morte, sui fenomeni post-mortem, sulla possibilità che la psiche possa trovarsi in un continuum extra-spazio-temporale e la connessione di ciò con la percezione extrasensoriale – e tutto questo necessiterebbe di un’ampia trattazione – ci limitiamo in questa occasione a brevi e sintetiche note illustrative di taluni moment i della nota esperienza di Jung del 1944, che si protrasse per ben tre settimane; esperienza peraltro molto ricca in sé di svariati connotati a livello simbolico, di interrogativi sul senso dell’esistenza terrena, un’esperienza che con tutto il peso delle indispensabili ca utele può essere in qualche maniera assimilabile a una “Esperienza di pre-morte”, ampiamente conosciuta con la specifica terminologia inglese Near-Death Experience, “esperienza in prossimità della morte”1. Essa scaturì, primariamente, dal fatto che Jung si fratturò una gamba, un incidente che si complicò per problemi cardiaci. Jung cadde in condizioni di incoscienza e durante questo delicato frangente della sua esistenza, oggettivamente trovandosi in serio pericolo di morte, ebbe la sensazione di essere trasportato in alto nello spazio, arrivando – del tutto sospeso nel vuoto – addir ittura a circa 1500 Km di distanza dal nostro pianeta, che poteva osservare meravigliosamente avvolto di una luce azzurrina e del quale poteva ugualmente scorgere agevolmente la forma sferica e diversi particolari geografici, i profili delle terre e degli oceani2. E lassù scorse anche una pietra di rilevanti dimensioni e di colore scuro, sospesa nello spazio. In essa era rilevabile lo scavo di un tempio e, nel momento in cui si accingeva ad entrar vi, provò delle misteriose sensazioni, sentì che il proprio passato personale, in qualche maniera, gli era stato completamente tolto. Così, nella sua autobiografia, racconta Jung con espressioni molto suggestive, spunto per molteplici riflessioni: “Quando mi avvicinai ai gradini che portavano all’entrata accadde una cosa strana: ebbi la sensazione che tutto il passato mi fosse all’improvviso tolto violentemente. Tutto ciò che mi proponevo, o che avevo desiderato, o pensato, tutta la fantasmagoria dell’esistenza terrena, svanì, o mi fu sottratto: un processo estremamente doloroso. Nondimeno qualcosa rimase: era come se adesso avessi con me tutto ciò che avevo vissuto e fatto, tutto ciò che mi era accaduto intorno. Consistevo di tutte quelle cose, per così dire; consistevo della mia storia personale […]. Questa esperienza mi dava la sensazione di un’estrema miseria, e, al tempo stesso, di grande appagamento. Non vi era più nulla che volessi o desiderassi. Esistevo, per così dire, oggettivamente; ero ciò che ero stato e che avevo vissuto”. Egli nota ancora: “Rifuggiamo dalla parola «eterno», ma posso descrivere la mia esperienza solo come la beatitudine di una condizione non-temporale nella quale presente, passato e futuro siano una cosa sola. Tutto ciò che avviene nel tempo vi era compreso in un tutto obiettivo, nulla più era distribuito nel tempo o poteva essere misurato con concetti temporali. Tale esperienza potrebbe semmai esser definita come un certa condizione del sentimento, che non si può però immaginare. Come posso immaginare di essere contemporaneamente così come ier l’altro oggi e dopodomani?”. In ogni caso Jung, di fronte a quei vissuti personali molto particolari e comunque caratterizzati da un grande senso di realtà, non volle andare “oltre”, non volle dare un rilevante e decisivo peso all’ipotesi che la psiche potesse funzionare ai margini o fuori del cervello, con tutte le profonde implicazioni che ne susseguono. E li valutò, quindi, come il risultato finale di profondi processi psicologici, in altri termini come una “visualizzazione del Sé” e pertanto una “individuazione compiuta”, vale a dire quello che nell’ambito proprio della psicologia junghiana rappresenta il punto terminale dello sviluppo psichico che conduce a un ampliamento della nostra coscienza. Oggi – epoca in cui le Near Death Experiences, indubbiamente ancora caratterizzate da molteplici aspetti enigmatici, sono tuttavia al centro di molteplici ricerche condotte ad esteso livello interdisciplinare, compresa la partecipazione in tale contesto di indagine della stessa parapsicologia e della ricerca sulla sopravvivenza dopo la morte – Jung avrebbe potuto mutare almeno parzialmente le proprie opinioni su tali esperienze, ferma restando la difficoltà di pervenire a conclusioni finali. Non bisogna altresì trascurare che nel corso del procedere della sua esperienza, tra le varie visioni da lui esperite sempre ricche di intense emozioni, Jung ebbe la rappresentazione del proprio medico con l’aspetto di “re di Coo”. Isola del Dodecanneso, Coo fu famosa nell’antichità per la presenza del Santuario di Esculapio, dio della medicina, come pure per aver dato i natali al grande medico Ippocrate. Superata la lunga fase critica e ritornato finalmente alla condizione di veglia e quindi allo stato di usuale consapevolezza, Jung interpretò tale specifica immagine a carattere simbolico, riguardante il proprio medico curante, come una premonizione di morte, riguardante appunto quella persona. In effetti, trascorso qualche mese, il medico morì.

 
BIBLIOGRAFIA 
 
Caratelli G., “Il problema dei fenomeni paranormali in Freud e Jung”, tesi di laurea, Università degli Studi di Roma “La Sapienza”, Facoltà di Magistero, Corso di laurea in Psicologia, aa 1982-1983, relatore prof. A. Carotenuto, correlatore Prof. P. Bertoletti, si vedano le pp. 206-209 [non pubblicata].

Caratelli G., “Aspetti precognitivi”, Scienza e Cultura nel Mondo, Anno XV N. 3 Settembre-Dicembre 2012, p. 15.

Caratelli G., “Fenomeni di precognizione in Carl Gustav Jung”, Scienza e Cultura nel Mondo, Anno XVII N. 2 Maggio-Agosto 2014, pp. 35-39 (si vedano le pp. 35-36).

Giovetti P., “Jung e la parapsicologia”, Luce e Ombra, Anno 82° N. 1 Gennaio-Marzo 1982, pp. 47-58 (si vedano le pp. 56-57).

Giovetti P., “C. G. Jung, creatore della psicologia analitica”, Luce e Ombra, Anno 111 N. 3 Luglio-Settembre 2011, pp. 233-242 (si veda p. 240).

Jaffé A., “C. G. Jung e la parapsicologia”, Luce e Ombra, Anno 116 N. 2 Aprile-Giugno 2016, pp. 141-158 (si vedano le pp. 149-150).

Jung C. G., Ricordi, sogni, riflessioni di C. G. Jung, a cura di A. Jaffé, Rizzoli, Milano 1978, pp. 344-352 (pp. 345-346 e 351 per le citazioni).


_________________________
 
1 . Si ricorda utilmente, in brevissima sintesi, che per quanto concerne tale esperienza, coinvolgente un ristretto ma comunque significativo numero della popolazione, sorprendentemente caratterizzata dal vario concorso di molteplici vissuti (oltre la EEC: la “visione panoramica della propria vita”, il sentimento di passaggio molto veloce attraverso un tunnel, la visione di luci intense e paesaggi luminosi, il forte disagio provato a “rientrare” a un certo punto nei limiti del proprio organismo fisico, etc.), il soggetto interessato non muore realmente ma arriva unicamente all’estrema soglia di processi fisici, biologici irreversibili; e, malgrado l’oggettiva gravità delle sue condizioni, come spesso si suol dire, “ritorna in vita”, ovvero supera quel frangente assai critico, la grave sopraggiunta crisi vitale, riferendo quindi successivamente,con la migliore approssimazione possibile, le eventuali visioni e i connessi propri sentimenti, le sorprendenti peculiarità essenziali – senz’altro particolari e talvolta non facilmente definibili verbalmente – di quei delicati momenti.
 
2. Si potrebbe assimilare a una delle diverse componenti della EPM, ovvero la cosiddetta “Esperienza extra-corporea” (EEC), detta anche, con terminologia inglese, Out of Body Experience (OBE), “esperienza fuori dal corpo”. Da notare che nella presunta EEC di Jung manca il particolare vissuto di osservare – da un punto di vista e prospettiva sempre  esterno – il proprio corpo fisico incosciente, immobile e inanimato, esperienza denominata “autoscopia” oppure “visione autoscopica” (da considerarsi in tale contesto differente dall’omonima sindrome psichiatrica) che è statisticamente riferita da una porzione di  quanti sono stati coinvolti in una EEC (Pacciolla A., EPM. Esperienze pre-morte. Fenomenologia e ipotesi interpretative, San Paolo, Cinisello Balsamo -MI 1995). Si vedano le pp. 97-100 su tale questione, in cui Pacciolla indica il 30 per cento.