di Davide Ludovisi
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L'occhio di Dio - Musei Vaticani (foto: Godong/UIG via Getty Images) |
Il 19 aprile 1989 sulla Gazzetta ufficiale viene pubblicata la sentenza della Corte costituzionale n.203. In Italia per la prima volta si stabilisce che **il principio di laicità è considerato “**supremo”. Può sembrare un termine roboante, ma significa una cosa ben precisa: la laicità, nel nostro paese, diventa inviolabile, al pari di altri principi come quello della dignità della persona.
Un
passo importante e storico. Fino a cinque anni prima la religione
cattolica era considerata religione di stato. Solo con quella sentenza
nel nostro paese si parla per la prima volta di laicità nell'ordinamento
ufficiale dello stato, nonostante il Risorgimento e
gli ideali spesso dalle tinte anticlericali che hanno segnato la storia
italiana. Inutile dire, però, che la Chiesa cattolica, soprattutto a
seguito dei Patti Lateranensi firmati da Benito Mussolini nel 1929, ha sempre avuto un trattamento privilegiato.
Già,
ma oggi? A distanza di trent’anni dall’introduzione della laicità
nell’ordinamento costituzionale vale la pena farsi qualche domanda, in
un paese in cui i politici sventolano libri sacri ai comizi e negli edifici pubblici è ancora ben saldo il crocifisso.
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Matteo Salvini esibisce il Vangelo a un comizio a Milano il 4 marzo 2018.(credits: Pier Marco Tacca/Getty Images Europe) |
Partiamo intanto dal dire cosa non è laicità. Non significa per forza essere atei o agnostici. Significa però che si può anche
non professare alcuna fede o religione, o anche appartenere a qualsiasi
credo. In sostanza, laicità significa che l’autonomia decisionale non è vincolata da norme confessionali.
Questo in ambito giuridico si traduce in uno stato separato dalle
istituzioni religiose: l’autorità che governa un paese non dovrebbe
quindi essere condizionata da dogmi divini.
Non è sempre così: esistono infatti gli stati confessionali.
In alcune aree del mondo, soprattutto in ambito musulmano, ci si rifà
direttamente a dettami religiosi per regolamentare la vita civile.
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Simboli religiosi (credits: Matthew Fearnley - CC, Flickr.com) |
Probabilmente la Francia è la nazione che ha fatto
della laicità una vera e propria bandiera. L’Italia in tal senso è stata
molto più cauta. Tuttavia ci sono dei principi costituzionali piuttosto
chiari. “Si possono riassumere in tre punti cardine”, spiega a Wired Marilisa D’Amico, professore di diritto costituzionale all’università di Milano. “Innanzitutto
è chiara la separazione tra ordine religioso e temporale. Vige il
principio che tutte le religioni sono uguali e che c’è la libertà di
credere ma anche di non credere. Non bisognerebbe mai dimenticare il diritto di essere atei”.
Però
non siamo la Francia. Lì è espressamente escluso qualsiasi aspetto
religioso dalla sfera pubblica: si proibisce infatti ogni simbolo
religioso nei luoghi pubblici, perché in uno stato laico lo spazio
pubblico deve essere neutro.
Da noi invece vige un orientamento positivo nei confronti della libertà religiosa; non si esclude quindi la religione dall’ambito pubblico, puntando piuttosto sul pluralismo. Questo però ha creato situazioni ambigue, stemperando gli effetti della sentenza.
“L’anniversario della sentenza costituzionale del 1989 è importante e significativo”, precisa Nicola Fiorita, professore di Diritto canonico ed ecclesiastico all’università della Calabria. “Tuttavia
contiene una delimitazione del principio di laicità stesso. Si afferma
infatti che l’Italia è sì uno stato laico, ma anche che l’insegnamento della religione cattolica nelle scuole è compatibile. Di fatto privilegiando solo una parte degli studenti”.
La
sentenza ha dato quindi legittimità all’insegnamento della religione
cattolica. Per certi versi un paradosso, in contrasto con la dottrina
più laica. Al cosiddetto orientamento positivo si rifanno anche i
sostenitori del crocifisso in classe: in questo modo, tuttavia, la pluralità religiosa e soprattutto la neutralità laica non può evidentemente dirsi compiuta.
Come
giustificare momenti e simboli cristiani in luoghi di espressione dello
stato laico? Il linea giurisprudenziale, l’insegnamento della religione
cattolica si rifà a un valore storico e culturale e non propagandistico, perciò la Corte costituzionale lo ha ritenuto compatibile con il principio di laicità.
Le Tre Fasi
Non
è facile dire se oggi siamo più o meno laici di qualche decennio fa. Ma
per Marilisa D’Amico le leggi fatte negli anni Settanta, come quella
sul divorzio o sull’aborto, erano espressione di uno stato laico nel
migliore dei termini. “Anche i cattolici votarono per non negare ad altri dei diritti. Nonostante fossero considerati in contrasto con la propria visione del mondo”, ricorda D’Amico.Secondo Nicola Fiorita negli ultimi trent’anni abbiamo vissuto tre fasi. In una prima fase c’è stata un’espansione della laicità. “Viene affermato finalmente che l’Italia è uno stato laico. Ciò comincia a produrre lentamente degli effetti politici”, spiega Fiorita. “Dal 2001 in poi si è cominciato invece a ridurre la portata del principio di laicità. Facendolo rientrare in una mera visione di pluralismo”.
Una laicità che veniva riconosciuta e affermata, certo, ma da cui non
si traevano più degli effetti. Si garantiva sì un pluralismo, ma di
fatto era la religione cattolica a godere di un trattamento
privilegiato.
“Oggi il tema della laicità è sparito dal dibattito politico e giuridico”, continua Fiorita. “La questione religiosa è ricondotta spesso a un discorso di sicurezza legata al credo dei migranti. In questi ultimi anni si assiste a una riduzione dei diritti più che alla loro estensione”. Tempo fa, infatti, chi contrastava la laicità voleva combattere soprattutto l’ateismo, mentre ora il nemico
è diverso. Non solo si tende a privilegiare la religione cattolica, ma
anche a considerare le altre – specie quella islamica – come pericolose.
“Trent’anni
fa pareva iniziato un percorso progressivo di rafforzamento della
neutralità delle istituzioni pubbliche. Nonché del regime
indifferenziato dei diritti. Oggi possiamo dire che non è avvenuto”, constata Fiorita.
Gli effetti concretiLa questione non è solo di principio. E neppure di fede, in realtà.
Marilisa D’Amico ricorda che molti politici sono stati e sono
cattolici. Non è un problema. D’Amico fa l’esempio della legge sull’aborto del 1978.“Quella volta i politici cattolici hanno accettato un compromesso. Inserendo l’articolo sull’obiezione di coscienza. Anche se spesso si attua quell’articolo in modo sconsiderato, non è stata usata una legge per affermare un valore religioso”.
Secondo D’Amico oggi si assiste a crescenti intromissioni della chiesa in questioni riguardanti lo stato. Uno dei riferimenti è la campagna referendaria per la modifica della legge sulla procreazione assistita
del 2005.Alcune gerarchie ecclesiastiche hanno spinto per affermare la
superiorità dell’embrione a discapito della salute della donna. Per non
parlare delle campagne ideologiche per negare i diritti agli omosessuali. O ancora, a chi voleva normare il fine vita. Tuttavia il parlamento rispetto a questi temi è comunque riuscito ad esprimersi: si sono varate delle leggi che non mirano a negare diritti in nome di principi religiosi.
“Penso
che in questo momento la politica cerchi addirittura di rincorrere la
chiesa. Questo impoverisce lo spirito della nostra Costituzione. E
dimostra la debolezza della politica che si fa scudo della religione”,
afferma D’Amico. Il fatto è che gli esponenti della chiesa cattolica
hanno sicuramente il diritto di esprimere il proprio pensiero. Altra
questione però è incitare i fedeli nell’attuare azioni politiche. Questo
vale quando il papa si esprime sull’aborto, ma anche sulla questione
dei migranti. Il confine evidentemente è labile, ma sta ai politici decidere se rimanere laici o meno.
“In Italia siamo abituati a sentire l’opinione della chiesa rispetto a qualsiasi tema. Ci sembra normale”, continua e conclude D’Amico. “Tuttavia da noi il concetto di laicità è inteso diversamente a seconda della propria sensibilità”.