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Tuesday, November 2, 2021

IL DECLINO DELLA CHIESA CATTOLICA

 Articolo tratto da LA VERITA' DELL'11 OTTOBRE 2021

 Emorragia di preti: in Italia sono meno di 40.000 e sempre più
anziani. Calo drastico anche delle donazioni, sotto i 10 milioni

di ANTONIO GRIZZUTI


Non sembra avere freni l’emorragia di vocazioni in Italia. Cifre alla mano, sono sempre meno numerosi i sacerdoti nel nostro Paese. E come se non bastasse, la crisi economica e la disaffezione verso la Chiesa alimentata anche dai recenti scandali ha inferto un duro colpo alle offerte per il clero. Orientarsi nella selva di dati non risulta sempre cosa facile, e a volte i conti tornano a causa dell’incongruenza dei numeri riportati dalle fonti ufficiali, ma una cosa è certa:
il numero di preti nel tempo appare in costante diminuzione.

Secondo i dati presenti sul sito della Conferenza episcopale italiana, nel 2019 la comunità dei presbiteri in Italia è scesa sotto quota 40.000 membri (per la precisione 39.804 unità). Solo dieci anni fa erano quasi 10.000 in più. Dal 1990 a oggi, il numero totale dei sacerdoti è calato di circa 15.000 unità, subendo una contrazione del 27%. Colpito sia il clero cosiddetto «secolare», composto da coloro che non sono vincolati a un particolare ordine, che quello «regolare», composto dai religiosi tenuti all’obbedienza di una regola. Crollo verticale  delle nuove ordinazioni dei preti secolari, diminuite di un terzo nel primo quindicennio del nuovo millennio. Stesso trend anche per i seminaristi (maggiori e minori), diminuiti del 31%, i religiosi non sacerdoti (-21%) e le religiose di sesso femminile (-29%).

ETÀ MEDIA PIÙ ALTA

Decisamente impietosi i dati forniti dall’Istituto cen-trale per il sostentamento del clero, che si occupa di erogare le risorse necessarie a integrare il reddito dei presbiteri nei limiti stabiliti dalla Cei.
Nel 2018 i preti diocesani totali erano 33.941, ma solo 30.985 dichiarati abili a prestare servizio a tempo pieno in favore delle diocesi. Gli altri, malati o troppo anziani per servire le comunità. Quindici anni fa se ne contavano ben 5.200 in  più. Una contrazione pari al
14,5% nel giro di appena tre lustri. Unica nota positiva, la crescita del diaconato con ben 4.700 diaconi, dei quali quasi nove su dieci risultano sposati . Secondo il professor Franco Garelli, il vuoto vocazionale fa ancora più paura se si considera l’invechiamento del clero italiano. «I preti con oltre 80 anni erano il 4,3% nel 1990, mentre sono il 16,5% nel 2019», ha affermato in un recente articolo il docente di Sociologia dei processi culturali  all’ Università di Torino, «i preti con meno di 40 anni era- no 14% del clero nel 1990, mentre rappresentano non più del 10% nel 2019». Per contro, rileva G a rel l i , l’età media dei preti diocesani è passata dai 57 anni del 1990, ai quasi 60 anni nel 2010 e ha superato i 61 anni nel 2019. Un processo di invecchiamento verificatosi «a seguito della diminuzione dei nuovi ingressi o dal calo delle vocazioni», avvenuto «in modo un po’ beffardo» a margine del Concilio Vaticano II quando il trend delle vocazioni era ancora in crescita e svariate diocesi italiane pianificavano la creazione di nuovi seminari o l’ampliamento di quelli già esistenti.
Sul piano territoriale, le cifre riportare dal professor Garelli evidenziano una redistribuzione dei prelati dalle Regioni settentrionali in favore di quelle meridionali. Fatta eccezione per il Lazio (+11%), nel trentennio 1990-2019 a nord di Roma si assiste a un vero e proprio profondo rosso: -35% in Piemonte, -32% in Liguria, -29% in Emilia Romagna e a seguire Triveneto (-28%), Marche (-27%) e Toscana (-24%). Tendenza opposta per il Mezzogiorno, con una crescita addirittura in doppia cifra per la Calabria (+12%) e incrementi significativi in Campania, Puglia e Basilicata (+7%). E laddove cresce numericamente, il clero presenta un’ età media più bassa: un de cennio separa i preti «giovani» della Basilicata (55,9 anni) da quelli decisamente più anziani del Triveneto (65,4 anni).

EROGAZIONI LIBERALI

Pessime notizie anche sul versante delle offerte ai sacerdoti. L’ aggiornamento annuale pubblicato dall’Isti  tuto centrale per il sostentamento del clero parla chiaro: nel giro di poco più di un quindicennio le erogazioni liberali da parte dei fedeli sono passate dai 19,2 milioni di euro del 2002 ai 9,6 milioni di euro del 2018, in leggera ripresa rispetto al punto più basso (9,4 milioni di euro) toccato nel 2017. Nello stesso periodo, a fronte di un aumento di 209 unità per quanto riguarda i sacerdoti che hanno percepito l’ intera retribuzione (circa 22.400 euro per i sacerdoti abili a prestare servizio a tem- po pieno), i preti che hanno ricevuto un’ integrazione sono diminuiti di ben 7.000 unità.

 

 

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Sacerdoti «globetrotter» tra le parrocchie

Tonache costrette a girare in più paesi. Il caso limite di don Renzo Casarotti a Malè, parroco di 17 campanili


 

SOLI - In italia ci sono 25.589 parrocchie

e 31.000 preti diocesani (Ansa).

Troppe chiese per pochi preti. Complice il calo delle vocazioni, sta diventando sempre più difficile per i pre- sbiteri italiani riuscire a «coprire» il territorio, con ricadute a volte drammatiche per le comunità che sono chiamati a guidare. Basti pensare che attualmente in Italia esistono 25.589 parrocchie e circa 31.000 preti diocesani. Considerando anche i 12.400 sacerdoti regolari, in media fa un sacerdote e mezzo a parrocchia. Tre regioni ecclesiastiche (su 17 totali) hanno un rapporto sacerdoti per parrocchia inferiore a uno. Si tratta dell’ E m i l i a- Romagna, della Liguria e della Toscana. Solo due territori, Puglia e Lazio, superano il rapporto di due preti per parrocchia. Numeri che non tengono conto delle numerose chiese «sparse» (non parrocchie) e che necessiterebbero comunque della presenza di un religioso. Rispetto al rapporto preti per abitanti, le tre realtà territoriali che se la vedono peggio sono, nell’ ordine, la Campania (un sacerdote ogni 1.973 abitanti), la Sicilia (1/1.860) e l’Emilia-Romagna (1/1.808). Risultato? Tonache «globetrotter» costrette a fare i salti mortali per garantire l ’assistenza spirituale ai propri fedeli. Quella di don Renzo Casarotti, prete della diocesi di Trento e titolare, come risulta dal sito della diocesi, di ben sette differenti è una storia simbolica. «Un parroco per 17 campanili», raccontava a dicembre del 2019 la Tg r di Trento, chiamato a continui avanti e indietro per celebrare la messa nelle chiese del circondario. «Mai avrei sognato che ci sa-remmo trovati in questa situazione», ammette don Renzo, «ma vedo che noi preti riusciamo ancora a starci dietro». Quella che prima era l ’eccezione sta diventando la regola, specie nelle zone più impervie e difficili da rag giungere. Così, nel 2019, l’ar civescovo di Trento Lauro Tisi si è trovato a fare un’ i nfornata di «super parrocci», cia- scuno alla guida di due o più comunità. E così le giornate passano in macchina, tra un battesimo, un funerale, i corsi di preparazione al matrimonio, e le innumerevoli incombenze burocratiche. Se non si sdoppiano i preti, d ’altronde, l’alternativa è una sola: accorpare le chiese.

Nel 2019, in occasione della 69esima Settimana nazionale di aggiornamento pastorale, la Cei ha avviato una riflessone sull’argomento delle parrocchie senza preti. Secondo monsignor D o m e n ic o S i ga l i n i , vescovo emerito di Palestrina, la fusione delle parrocchie va visto «come una decisione missionaria». Un supporto fondamentale, fortunatamente, arriva dai laici. Poche settimane fa il vescovo di Rimini Fra n c e s c o L a m bi a s i ha nominato Davide e Cinzia, una coppia di coniugi, in qualità di referenti parrocchiali di Misano a Monte. Stesso discorso per la parrocchia di San Paolo Apostolo, nella frazione montana di Isnello in provincia di Palermo, dove il vescovo monsignor Giuseppe Marciante ha affidato la gestione parrocchiale a un gruppo di famiglie. I laici? «Non finti preti», spiega don Armando Sa n n i n o, docente alla Ponti- ficia università lateranense, ma «motore di un nuovo dinamismo pastorale». Forse è proprio questo il futuro che attende la Chiesa.
A. Gri.




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L ’INTERVISTA ROBERTO CIPRIANI


«Quanti seminari vuoti costretti a chiudere»

Il sociologo: «La diminuzione delle vocazioni è in atto ormai da tempo, in Italia resistono soltanto alcune regioni del Sud

Gli oltre 4.000 diaconi sono diventati fondamentali e sopperiscono a questa mancanza, ma non possono essere sostitutivi».


PROF. Roberto Cipriani, professore

emerito all’università Roma Tre

Sociologo e professore emerito all’università Roma Tre, Roberto Cipriani rappresenta un’ autorità nel campo delle tematiche religiose. È autore di oltre 90 volumi e 1.100 pubblicazioni con traduzioni in inglese,francese, russo e molte altre lingue. Gli abbiamo chiesto di fare il punto sulla crisi delle vocazioni in Italia.

Professore, quanto è grave realmente il fenomeno?

«Molti anni fa, monsignor Luigi Morstabilini (vescovo di Brescia dal 1964 al 1983) inaugurò il nuovo seminario diocesano, che poteva accogliere circa duecento giovani aspiranti al sacerdozio. Allora il sociologo don Silvano Burgalassi dell’Università di Pisa fece una facile previsione: quella struttura non si sarebbe mai riempita. E così fu. Il 12 giugno di quest’ anno a Brescia sono stati ordinati quattro sacerdoti. La stessa sorte è toccata ad altri seminari italiani, diversi dei quali hanno dovuto chiudere i battenti. Dunque la tendenza al calo delle vocazioni è in atto da molto tempo, ma non è drastica. Gli andamenti più recenti mostrano un certo rallentamento della tendenza al ribasso». Quanto pesa l’i nvecchiamento del clero? E in che direzione si stanno muovendo gli ingressi in seminario?

«Indubbiamente l’età media dei preti italiani sta crescendo. Però questo è anche un fenomeno che riguarda l’intera popolazione del nostro Paese. Nel 2017 l ’indice di vecchiaia (cioè il rapporto fra il numero degli ultrasessantacinquenni e quello dei soggetti da 0 a 14 anni) era di 165,3 mentre oggi è salito a 179,3. I preti ultrasettantenni rappresentavano il 22,1% nel 1990 e il 36% nel 2019. Inoltre i giovani preti, non ancora quarantenni, erano il 14% nel 1990 ed il 10% nel 2019, anno in cui gli ultraottantenni erano il 16,3%. Ovviamente anche i mancati ingressi in seminario incidono sull’invecchiamento del clero» .

Ci sono preti di montagna costretti a gestire cinque o sei parrocchie allavolta con notevoli disagi per i fedeli. Problematiche legate alla conformazione del territorio a parte, ci troviamo di fronte a un declino omogeneo oppure esistono differenze geografiche?

«Le differenze territoria-li sono sempre e comunque importanti, tanto più in un Paese come il nostro che è contraddistinto dal fatto che circa la metà della popolazione vive in centri fino a 30.000 abitanti. Il che probabilmente favorisce ancora una propensione al sacerdozio, notoriamente più problematica nei grandi centri urbani, dove la vita comunitaria è quasi inesistente. Se si considera il periodo fra il 1990 ed il 2019 si nota che solo quattro regioni continuano a fornire aspiranti al sacerdozio in misura percentuale significativa, nell’ordine: Calabria pania e Basilicata, ma anche il Lazio, dove però Roma rappresenta un caso a sé, per la sua particolarità di centro universale del cattolicesimo » .Diaconi e laici stanno assumendo sempre più rilevanza e, specie in alcune diocesi, ci si sta focalizzando sulla formazione di queste figure con risultati notevoli in termini numerici. Ma queste figure possono, e se sì in quale misura, colmare il vuoto lasciato dalla mancanza di preti? «Il diacono non riesce mai a sostituire del tutto il sacerdote, per ovvie ragioni, ma costituisce un solido ed efficace supporto specialmente nelle zone carenti di preti. Pure laddove il clero è sufficientemente rappresentato il servizio diaconale alleggerisce di molto le incombenze di un parroco, per esempio. Del resto va tenuto presente che oltre 4.000 diaconi in Italia di fatto sopperiscono ai numeri mancanti fra le nuove vocazioni sacerdotali».

Leggendo i dati forniti dall’Istituto centrale per il sostentamento del clero, c ’è da registrare anche un deciso calo delle offerte da parte dei fedeli. Quali fattori possono avere influito?

«Lo stesso discorso può essere fatto per l’otto per mille, che ha un andamento altalenante nel corso degli anni. Incidono diversi fattori, a partire, com’ è fondato pensare, dalle risorse di- sponibili da parte dei con-tribuenti e dalle influenze ambientali locali, legate a figure particolari del mondo ecclesiastico, ad istituzioni benemerite, a tradizioni di tipo solidaristico. Ma soprattutto non è da trascurare il fattore pande mico che ha ridotto drasticamente le risorse».

Qual è il giudizio della Curia romana e della Conferenza episcopale italiana rispetto al problema del calo delle vocazioni, e quale approccio stanno adottan do i vertici ecclesiastici per tentare di risolverlo?

«Non va dimenticata la dimensione universale della Chiesa cattolica, che perde ma pure guadagna adesioni nei diversi contesti in cui opera. A livello di gerarchia prevale l’idea di un carattere plurimillenario dell’ opera evangelizzatrice, che può registrare alti e bassi ma non venire meno del tutto, confidando nel disegno divino per l’ umanità. L’ Ufficio nazionale per la pastorale delle vocazioni della Conferenza episcopale italiana promuove varie iniziative, piuttosto innovative ed in linea con i tempi e con i giovani, offrendo sussidi ed iniziative, ivi compreso un corso di alta formazione in Pastorale vocazionale con relativo diploma».

Quali sono a suo avviso i passi che la Chiesa, intesa non solo come struttura organizzativa e gerarchica, ma anche come comunità, deve compiere per invertire la tendenza di questi ultimi tempi?

«Non spetta al sociologo stabilire quale debba essere l’azione pastorale della Chiesa cattolica. Nondimeno un’ osservazione di merito è possibile e riguarda il processo formativo che prepara al sacerdozio, in larghissima parte svolto in un ambito che non sarà quello effettivo della vita di un prete: immerso in una comunità più ampia di quella ristretta della sua compagine parrocchiale o di altro tipo ecclesiale. Insomma l’ attuale esperienza seminariale non corrispon- de al quadro reale in cui il sacerdote andrà ad operare. In tal modo si corre il rischio, più volte ribadito da papa Francesco, di un clericalismo accentuato, che mina l’efficacia stessa dell’azione pastorale, per il tipo di mentalità che diffonde ed a cui ci si abitua».

A. Gri.

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