Il Processo ai Dottori
da https://segretidellastoria.wordpress.com/2017/06/10/il-processo-ai-dottori/
Ebbe inizio il 9 dicembre 1946: il Processo ai Dottori, fu il primo di dodici processi “secondari” celebrati dalle autorità statunitensi nei confronti delle alte gerarchie naziste al termine del secondo conflitto mondiale a Norimberga. In tutto gli imputati furono ventitré, tra ufficiali appartenenti alle SS e pseudomedici e scienziati del Reich, accusati di crimini contro l’umanità e di guerra, avendo svolto esperimenti scientifici su esseri umani all’interno dei campi di concentramento, utilizzando come vere e proprie cavie prigionieri e deportati. Caratteristica di questo processo (e degli altri undici che seguirono) fu la costituzione della Corte: non più l’International Military Tribunal, che aveva promosso il processo principale a Norimberga, ma bensì corti militari statunitensi. Tra gli indiziati principali, Karl Brandt, medico personale di Adolf Hitler, nonché il principale artefice e responsabile del programma nazista di eugenetica, il famigerato Aktion T4, che avrebbe dovuto eliminare ogni persona disabile nei territori conquistati dalla Germania; Vikor Brack, ideatore del programma di sterilizzazione di massa verso i non tedeschi per la purificazione della razza ariana; Rudolf Brandt, assistente personale di Heinrich Himmler, selezionatore delle cavie umane da impiegare negli esperimenti.
Le imputazioni a carico dei medici e scienziati nazisti vennero elencate il 25 ottobre 1946: da quel momento, furono in tutto ascoltati 85 testimoni, per lo più sopravvissuti ai campi di concentramento, ed esaminati oltre 1470 documenti. Come riporta Jean Dumont, curatore della Storia segreta della Gestapo, ricorda come il progetto di sterilizzazione di Brack fosse di “una grottesca criminalità. Esso consisteva nel far avvicinare le persone da trattare ad uno sportello col pretesto di compilare dei moduli. L’impiegato, seduto dietro lo sportello, manovra un bottone, mettendo in azione simultaneamente due lampade in direzione dei genitali. Questo metodo riuscì a fare centinaia di vittime, più o meno gravemente ustionate”. Gli esperimenti compiuti, però, si rivolgevano anche verso lo studio della mancanza d’aria ad elevate altitudini, simulando in speciali locali, in cui venivano rinchiusi i prigionieri, quote di 2000 metri e più. Molti di questi pseudo-studi, compiuti prevalentemente nel campo di concentramento di Dachau, si indirizzarono verso l’analisi degli effetti sull’organismo umano di agenti patogeni, infettando con virus e batteri i prigionieri inconsapevoli.
Durante il processo, che terminò il 20 agosto 1947, con la condanna a morte di sette imputati e l’assoluzione di altri sette (i rimanenti furono condannati a pene detentive più o meno lunghe a seconda dei capi di accusa), misero in luce quanto di più inumano potesse generare la mente dell’uomo. Tra l’agosto 1942 e il maggio 1943, vennero condotti esperimenti sul freddo, esponendo i prigionieri a temperature di oltre 25 gradi sotto zero o immergendoli all’interno di grandi vasche di acqua gelata: secondo gli scienziati del Reich, questi test dovevano fornire indicazioni preziose per prevenire il congelamento in mare dei piloti della Luftwaffe e dei marinai della Kriegsmarine. Chiude così André Brissaud un suo studio sulle atrocità mediche dei Nazisti: “Durante il processo di Norimberga, il Dottor Karl Brandt, affermò la legittimità delle esperienze fatte nei campi di concentramento, perché egli stesso era convinto della necessità di simili esperienze per la sopravvivenza del Reich. Dopo aver scatenato l’inumano, i Nazisti pretendevano di essere umani”.
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La notte della medicina
da https://www.scienzainrete.it/contenuto/articolo/simonetta-pagliani/notte-della-medicina/gennaio-2014
Uno
dei rami del processo di Norimberga, denominato “United States of
America v. Karl Brandt, et al”, ma passato alla storia come il “processo ai dottori”,
celebrato da un tribunale militare americano tra la fine del 1946 e
l’agosto del 1947, giudicò 23 medici, accusati di efferatezze contro i
prigionieri dei lager nazisti; 16 medici furono condannati e sette di
essi giustiziati.
Era la prima volta che veniva alla luce il ruolo
dei medici tedeschi nelle politiche di selezione della razza e di
sterminio di Hitler; eppure, con l’eccezione di un articolo sul New England Journal of Medicine (Alexander
1949), la questione restò sotto silenzio fino agli anni novanta, grazie
agli sforzi congiunti della World Medical Association,
dell’establishment medico di entrambe le Germanie (che riabilitò in
ruoli di distinzione molti ex nazisti) e dei governi non solo dei vinti,
ma anche dei vincitori: gli Stati uniti per primi reclutarono nelle
loro Università e nell’industria farmaceutica molti scienziati sfuggiti
alla giustizia. Una seconda allusione ai crimini di guerra perpetrati da
medici comparve su Lancet (Hanauske-Abel 1986), ma solo negli ultimi anni novanta medici tedeschi hanno pubblicato revisioni autocritiche del passato.
Certamente,
non tutti i sanitari furono dei Mengele e vi fu anche una certa
opposizione al nazismo da parte dell’Associazione dei medici socialisti,
ma tacere il lato oscuro del pensiero “scientifico” contribuisce a
confinare l’accaduto in un “una tantum” di follia politica, tradendo il
significato del giorno della memoria: il passo dalla civiltà alla
barbarie è assai breve e lo si è visto a Guantanamo e ovunque, ancora
oggi, personale medico venga adibito a sovrintendere pratiche di tortura
e di messa a morte dei “nemici”.
Nella Germania economicamente in
ginocchio dopo la sconfitta nella grande guerra, i medici, che erano in
numero esorbitante le possibilità d’impiego, si iscrissero al partito
nazista in percentuale molto più grande degli altri professionisti: nel
1942 era nazista il 50% dei medici, con il 26% attivo nelle truppe
d’assalto (Sturmtruppen) e il 7% nelle Schutzaffel (le SS).
La prestigiosa rivista medica Deutsches Artzeblatt,
celebrò l’ascesa al potere di Hiltler nel luglio del 1933 con una
svastica in copertina; in quel numero si esaltava la missione, da questi
affidata ad Alfons Stauder, presidente della massima
associazione professionale, di portare avanti l’eliminazione degli ebrei
dalla vita culturale e spirituale del paese. Ancora prima della
promulgazione delle leggi razziali di Norimberga del 1935, che li
avrebbe esclusi da ogni aspetto della vita sociale, agli ebrei fu così
vietato di laurearsi in medicina e quelli che già esercitavano potevano
farlo solo su correligionari. A quell’epoca, era israelita il 15% circa
dei medici tedeschi e il 50% di quelli berlinesi; entro la fine della
guerra, il 25% dei medici ebrei venne ucciso, il 5% morì suicida e gli
altri avevano lasciato la Germania.
Il darwinismo sociale, contrario all’assistenza medica che permetteva
ai deboli di sopravvivere e riprodursi, già nel 1913 contava 425
seguaci, tutti medici o studenti di medicina; con l’avvento di Hitler al
potere, divenne parte dell’ortodossia scientifica tedesca, insegnata
nella maggior parte delle facoltà mediche. Ne discese la promulgazione
della legge per la prevenzione della trasmissione delle malattie
ereditarie, attuata con la sterilizzazione: riguardava gli
schizofrenici, gli epilettici, i portatori di disturbi bipolari, i
ciechi, i sordi, i deformi e gli alcolisti. Più tardi la legge fu
allargata ai “delinquenti abituali” e ai feti, fino al sesto mese di
gestazione, di madri con malattie ereditarie.
A onor del vero,
questa pratica eugenetica non era d’invenzione nazista: simili programmi
ai danni di malati o minorati mentali erano attuati, fin dagli anni
trenta, nella penisola scandinava, negli Stati uniti e in Svizzera.
Fu proprio lo psichiatra svizzero Ernst Rudin
a perfezionare il programma tedesco, suggerendo la presenza di medici
accanto alle forze di polizia per “calmare” le persone refrattarie alla
sterilizzazione forzata.
In Germania, l’opposizione a tale progetto
aberrante fu debole e legata, per lo più, a singoli, seppur eminenti,
rappresentanti delle Chiese: la propaganda e l’indottrinamento costante
delle masse erano la parte attiva del costituirsi dell’adesione
popolare. Ogni atto contro l’umanità era poi talmente burocratizzato e
parcellizzato nella pratica, da permettere un’estrema spersonalizzazione
del sistema e un’attenuazione delle responsabilità del singolo, il
quale veniva a essere inserito in una catena di comando che copriva
dubbi e rimorsi con l’obbedienza a ideali di fedeltà al proprio popolo e
alla stirpe di appartenenza. La comunità medica tedesca, in
particolare, non solo fu acquiescente alla legge, ma collaborò a
disegnarla, ne trasse vantaggi, largheggiò negli obiettivi e appoggiò
l’ideologia sottostante.
Venivano operati 50.000 individui l’anno;
si stima che, in totale, venne sterilizzato un numero di persone pari
all’1% della popolazione tedesca tra i 18 e i 40 anni e i medici si
contendevano il ben remunerato appalto.
Con le successive leggi “Per la protezione del sangue e dell’onore tedeschi” e “Per la protezione della salute genetica del popolo tedesco”, si crearono ulteriori posti di lavoro per i medici, addetti alla visita e alla selezione dei fidanzati che facevano domanda di matrimonio, per appurare la percentuale di sangue ebraico che scorreva nelle loro vene. L’Associazione medica tedesca e le maggiori riviste plaudivano alle iniziative, viste (e a ragione) come “una strategia di potenziamento dell’occupazione medica”: nel 1937 erano aperti più di 700 uffici statali che impiegavano 2.000 medici a tempo pieno, 4.000 a tempo parziale, 3.700 infermiere e vario personale di supporto, su un totale di 52.000 medici presenti nel paese e nel lustro 1933-38 i guadagni dei sanitari aumentarono di più del 50 per cento,
Nel 1939, Hitler fece un passo avanti, decidendo di applicare l’ossimoro di Alfred Hoche e Rudolf Binding,
secondo cui “il diritto di vivere deve essere giustificato”: le vite
non degne di essere vissute andavano, caritatevolmente, tolte. Molte
istituzioni, tra cui importanti ospedali, ebbero l’incarico di procedere
all’eutanasia di deformi e ritardati, con un’escalation che, partendo
dai neonati, portò il limite ai tre anni di età, per estenderlo, nel
1941, fino ai 17 anni.
Parallelamente, la comunità medica fu
incaricata di disegnare, implementare ed eseguire un programma di
eutanasia per adulti non produttivi (specialmente malati mentali),
denominato Operazione T4 (abbreviazione di
"Tiergartenstrasse 4", l'indirizzo del quartiere di Berlino dove era
situato il quartier generale dalla Gemeinnützige Stiftung für Heil- und
Anstaltspflege, l'ente pubblico per la salute e l'assistenza sociale):
si trattava di una concessione alle uccisioni data da Hitler ai
direttori degli istituti di ricovero con una lettera informale
(pervenuta ai posteri eccezionalmente, perché il Führer evitava di
lasciar scritti ordini che avrebbero potuto configurarsi come crimini
contro l’umanità): entro il 1941, 70.000 dei loro ospiti furono
selezionati a essere gasati e cremati. Poiché le eliminazioni venivano
pagate “a fattura”, i criteri di inclusione nel programma T4 vennero
estesi agli individui socialmente indesiderabili, come criminali,
prostitute, vagabondi e omosessuali, tanto che l’omicidio divenne parte
dell’attività di routine di molti ospedali tedeschi. La stanza corredata
da una ventina di docce che emanavano monossido di carbonio, messa a
punto nell’ospedale di Brandenburg, vicino a Berlino, ebbe tanto
successo che molti ospedali se ne dotarono.
Nel corso del 1940 il sospetto su quanto stava succedendo indusse
alcuni medici e psichiatri a dimettere i pazienti oppure, nel caso di
famiglie benestanti, a trasferirli presso cliniche private ove il
programma T4 non aveva giurisdizione. Alcuni medici acconsentirono a
cambiare le diagnosi già effettuate dei loro pazienti in modo che essi
non rientrassero più nei parametri per la selezione T4. Il professor
Hans Gerhard Creutzfeldt, scopritore dell’omonima morbo, riuscì a
salvare praticamente tutti i suoi pazienti. La maggior parte dei medici
collaborò comunque con l'Aktion T4, in parte per ignoranza circa i veri
scopi che esso si prefiggeva e in parte per convinzione nei confronti
delle politiche eugenetiche nazionalsocialiste.
L’Operazione T4
coinvolse, in seguito, i paesi occupati militarmente e i prigionieri
malati, con un saldo finale di 200.000 assassini commessi, come incarico
professionale, da personale medico.
Infine, la Conferenza di
Wannsee, nel gennaio del 1942, decretò la “soluzione finale” ossia lo
sterminio definitivo degli ebrei in Europa e nell’Unione sovietica
occupata, dove operavano, senza tante sofisticazioni ideologiche, gli
Einsatzgruppen, squadroni della morte, anch’essi con supporto di
personale medico.
Il testamento morale dell’omonimo processo fu il Codice di Norimberga,
del 1947, considerato il documento più importante nella storia
dell’etica della ricerca che detta le regole e i confini etici della
sperimentazione sull’uomo.
Uno dei capitoli più efferati della storia del legame tra la comunità
medica e il crimine nazista, infatti, è quello dell’uso dei prigionieri
dei campi come animali cavie.
Ad Auschwitz si sperimentava
soprattutto per migliorare l’efficienza delle procedure di castrazione o
di sterminio. Altrove, gli scopi erano bellici, per esplorare la
possibilità di sopravvivenza dei piloti tedeschi abbattuti: i
prigionieri venivano sottoposti ad abbassamento della pressione
barometrica fino alle convulsioni o alla morte, oppure a temperature
sempre più fredde, per immersione in vasche di ghiaccio o per
esposizione, legati su una barella, alle notti invernali, oppure a bere
solo acqua marina.
Infine, c’erano gli esperimenti propriamente
clinici, nei quali venivano iniettati nelle vittime agenti infettivi per
ricercare il vaccino o la cura, oppure inferte ferite e mutilazioni per
studiare la rigenerazione cutanea e ossea; furono sicuramente implicati
in questi esperimenti anche Hans Reiter, ancora oggi, vergognosamente, insignito dell’eponimo a una sindrome e Karl Gebhardt, allora presidente della Croce rossa tedesca.
SIMONETTA PAGLIANI
Biografia:
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Hanauske-Abel HM. Not a slippery slope or sudden subversion: German
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World Medical Association Declaration of Helsinki: ethical principles
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Quei camici neri
da https://www.ilfoglio.it/gli-inserti-del-foglio/2016/11/07/news/quei-camici-neri-106313/
Il dottor Schweitzer e poi l’eutanasia: la caduta della grande scienza tedesca. Settant’anni fa a Norimberga il processo ai medici nazisti. E’ consolante presentarli come “i medici delle SS”. Ma non erano tutti burattini di Hitler, avevano scelto di partecipare.
Il 21 novembre 1946, i medici nazisti presero posto sul banco degli imputati nell’immensa aula del tribunale di Norimberga. Una folla rumorosa e numerosa si accalcava nella parte riservata al pubblico. C’erano molti grandi nomi della medicina europea ad assistere a un evento senza precedenti. Quando fu pronunciato il suo nome, Karl Brandt, il medico personale di Adolf Hitler che aveva presidiato all’eutanasia dei bambini e dei disabili, avvicinatosi alla sbarra disse, con voce calma e forte: “Mi dichiaro non colpevole”. Quel medico idealista dell’Alsazia aveva sognato di partire per l’Africa equatoriale francese che adesso è chiamata Gabon. Voleva servire i malati e i poveri in una striscia di terra seminata a caffè, aranci e limoni, stretta tra una foresta densa di vapori e un fiume lentissimo e giallastro. Brandt sognava di lavorare con il dottor Albert Schweitzer. Uno che avrebbe dedicato la sua vita alla cura di “tutto ciò che si muove”.
Brandt fece sua una concezione opposta della medicina. La maggior parte dei medici alla sbarra a Norimberga aveva tutte le caratteristiche di rispettabilità civica e scientifica. Molti non erano burattini nazisti, ma avevano fatto le loro carriere come medici molto prima che Hitler salisse al potere. E avevano fornito contributi preziosi alla ricerca scientifica. Nel 1967 Feltrinelli traduce e pubblica in Italia il libro di Alexander Mitscherlich e Fred Mielke, “Medicina disumana”. Sono le cronache e i documenti del processo di Norimberga. La sua prima edizione fu riservata all’Ordine dei medici della Germania occidentale e per incanto sparì dalla circolazione, tanto era l’imbarazzo. “Gli annali della caduta della medicina tedesca sono pieni di nomi di scienziati di fama internazionale come i professori Planck, Rudin, e Hallervorden e medici come Georg Schaltenbrand, che ha condotto gli esperimenti neuro-immunologici non in un campo di concentramento, ma alla Julius-Maximilians-Universität di Würzburg”, ha scritto Hartmut Hanauske-Abel, studioso di storia della medicina nazista.
Uno dopo l’altro, i 23 medici si dichiararono tutti “non colpevoli”. Il dottor Siegfried Handloser, viso scarno e solcato dalle rughe, si sarebbe difeso con energia. Fino al 1928 aveva diretto l’ospedale di Ulm. Nel 1941 divenne ispettore dei servizi di Sanità dell’esercito. Fece pressioni perché si sperimentasse un vaccino contro il tifo, che stava decimando le truppe tedesche. Le prove contro di lui erano schiaccianti e la sua collusione con la scienza dei campi di concentramento sotto gli occhi di tutti. Eppure, gli fu concesso l’ergastolo, anziché la pena di morte. A Handloser fece seguito sul banco degli imputati Paul Rostock, il più ingenuo e il più onesto degli accusati, amico di Brandt e suo maestro e mentore. Si era iscritto alla facoltà di Jena, dove aveva consacrato tutto se stesso alla professione di chirurgo.
Apolitico, nel 1927 diventò primario del reparto chirurgico dell’ospedale di Bochum, fino ad approdare alla docenza di Chirurgia all’Università di Berlino, dove insegnò cinque anni. Non fu mai un acceso sostenitore né un acerrimo oppositore del regime nazista, quanto un medico patriottico. Su richiesta di Brandt, Rostock entrò a far parte del Consiglio della ricerca del Reich. A Norimberga, il dottor Rostock avrebbe motivato così la decisione di partecipare agli esperimenti medici: “Volevo cercare di migliorare le nostre conoscenze per poi utilizzare tali conquiste scientifiche in periodo di pace. Penso che le mie iniziative non siano state del tutto inutili, perché durante tutto il periodo di guerra le ricerche scientifiche non furono abbandonate. Neppure in sogno avrei potuto immaginare che un giorno, proprio per quelle mie iniziative, sarei stato esposto ad accuse così mostruose”.
Kurt Blome era un medico e un nazionalista. Nel 1938 fondò un’accademia di studi medici a Budapest. Alla sua inaugurazione parteciparono medici e scienziati provenienti da molte nazioni. Nessuno sollevò problemi sul percorso intrapreso dalla medicina sotto Hitler. Nel 1943, Blome divenne plenipotenziario al Consiglio della ricerca del Reich, nel settore delle ricerche sul cancro e la guerra biologica. Nel frattempo venne nominato professore alla facoltà di Medicina dell’Università di Berlino. Ossuto nei tratti, teso e nervoso, Blome si difese con orgoglio a Norimberga, rivendicando la bontà delle sue azioni. Un altro degli imputati, il dottor Karl Gebhardt doveva la sua ascesa ai vertici della medicina nazista al fatto che era cresciuto assieme a Heinrich Himmler. Nel 1937, a soli quarant’anni, era già ordinario all’Università di Berlino. I suoi esperimenti erano noti anche all’estero, tanto che il governo polacco in esilio lo condannò a morte. Fu poi la volta del dottor Gerhard Rose, corpulento, capelli bianchi, barba rasata. Il più illustre degli scienziati, un luminare delle malattie tropicali.
Gli accusati continuarono a succedersi al banco degli imputati. Rudolf Brandt, grassoccio, capelli rasati, miope, era il segretario di Himmler. Wolfram Sievers, la barba folta, lo sguardo penetrante, sembrava Rasputin. Hermann Becker-Freyseng si presentava come un ometto con le orecchie a sventola. Helmut Poppendick aveva il portamento dimesso, primario dell’ospedale di Virchow, specializzato in malattie ereditarie, e poi incaricato dalle SS al Servizio della razza. Karl Genzken, robusto, dai trati duri e decisi, era capo del Servizio di sanità delle SS. Joachim Mrugowsky, dallo sguardo altero, era capo dell’Istituto di igiene delle SS, incaricato fra le altre cose di provvedere al gas Zyklon B di Auschwitz.Herta Obersheuser era l’unica donna fra gli imputati, esperta di malattie della pelle, cattolica. Waldemar Hoven, “il bel Waldemar”, mingherlino, responsabile medico nel campo di Buchenwald, fu uno dei medici più direttamente compromessi con gli esperimenti nei campi e con iniezioni selvaggie di fenolo. Wilhelm Beiglböck era lo specialista degli esperimenti sulla sopravvivenza in mare. Fritz Fischer, brandeburghese, sperimentò numerosi farmaci su esseri umani, e nel febbraio 1943 a Berlino tenne una conferenza sulle sue scoperte. Sigmund Ruff, magro, elegante, diede subito il suo appoggio agli esperimenti, e li condusse lui stesso a Dachau. Hans Romberg, come Ruff, si interessava di medicina dell’aviazione e ne divenne il collaboratore. August Weltz, massiccio e sportivo, era responsabile dell’Istituto per la medicina aeronautica a Monaco. Di Konrad Schäfer e Adolf Pokorny, il classico medico di Berlino colto, non si riuscì a provare la colpevolezza. Il generale medico Oskar Schröder, come Handloser, giustificò la sua partecipazione agli esperimenti sugli esseri umani. Viktor Brack, padre di sei figli, non era medico, ma il più alto responsabile politico e civile dell’eutanasia.
Gli investigatori degli Alleati percorsero tutta la Germania per trovare prove e documenti che incriminassero gli imputati. Ma i nazisti avevano accuratamente distrutto le prove Le installazioni sperimentali erano enclave all’interno dei campi di concentramento. E la leadership nazista era stata svelta anche nel liquidare i partecipanti alla ricerca medica. Molti medici scelsero il suicidio. Il processo fu presentato come quello ai “medici delle SS”. Nulla di più falso, seppure molto consolante. Tre degli imputati erano amministratori, solo sette dei medici accusati erano ufficiali delle SS, e quattro non erano neppure iscritti al Partito nazista. Essi differivano non solo politicamente, ma anche in termini di esperienza medica e di provenienza sociale. Diciassette erano di fede protestante, sei i cattolici. Soltanto tredici dei ventitré accusati avevano abiurato la religione cristiana, in ottemperanza all’ideologia nazionalsocialista. Dei venti medici accusati, quattro erano chirurghi (Karl Brandt, Fischer, Gebhardt e Rostock), tre dermatologi (Blome, Pokorny, Oberheuser), quattro batteriologi (Handloser, Mrugowsky, Rose e Schröder), uno internista (Beiglböck), uno radiologo (Weltz) e due medici generici (Genzken e Hoven).
Nessuno dei medici processati e impiccati a Norimberga provò rimorso per quello che aveva fatto. Rivendicarono invece la bontà e la legittimità delle loro azioni. Karl Brandt: “Sono un medico e in coscienza c’è la responsabilità verso gli esseri umani e la vita (…) Pensate che sia stato un piacere per me ricevere l’ordine di consentire l’eutanasia? Mi sono preoccupato di ogni bambino malato come se fosse il mio”. Handloser usò parole latine: “Scientiae, Humanitati, Patriae”. Per la scienza, l’umanità e la patria. Rostock: “Nella mia vita non ho mai lavorato per uno stato o un altro, né per un partito politico in Germania, ma solo per la scienza medica e i miei pazienti”. Schröder: “I miei occhi hanno sempre guardato a un solo scopo: aiutare e curare”. Gebhardt: “Ho sempre cercato di vedere ogni malattia come una condizione umana di sofferenza. Per me era importante che gli esperimenti avessero valore scientifico pratico per testare l’immunizzazione e proteggere migliaia di feriti e malati”. Mrugowsky: “La mia vita, la mia azione e i miei scopi erano puliti”. Poppendick: “Le moderne conquiste della scienza non possono essere raggiunte senza sacrifici. Sono convinto che gli esperimenti sugli esseri umani furono sforzi coscienti di scienziati seri per il bene dell’umanità”. Beigbloeck: “Gli esperimenti dovevano salvare vite umane”.
Karl Brandt, Brack, Gebhard, Mrugowsky, Hoven, Sievers e Rudolf
Brandt furono condannati a morte. Fischer, che aveva attuato gli
esperimenti di Ravensbruck, Genzen, Handloser, Rose e Schröder, furono
condannati all’ergastolo (amnistiati poco dopo). Becker-Freyseng e
Oberheuser, anche loro medici a Ravensbruck, furono condannati a
vent’anni. Beiglböck e Poppendick a dieci anni. Blome, Pokorny, Romberg,
Rostock, Schäfer e Weltz uscirono dal tribunale da uomini liberi.
Quegli imputati erano ai vertici della medicina tedesca. E il paradosso è che la ricerca medica nazista toccò il suo culmine nel 1944, quando le sorti della Germania di Hitler erano segnate. Incentivi alla sperimentazione umana vennero garantiti anche a guerra persa. Molti dei medici processati a Norimberga provenivano dalla facoltà di Medicina di Berlino, che penò molto a liberarsi della fama di scuola dell’assassinio. L’Università di Berlino era implicata nel processo agli esperimenti di Ravensbruck. Quando venne pronunciata la condanna a morte per Karl Brandt, numerose personalità scientifiche insorsero a favore del medico di Hitler: i chirurghi Domrich e Sauerbruch, il patologo Robert Roesle, il farmacologo Heubner, il ginecologo Stoeckel e molti altri. Trovarono oltraggioso che un medico idealista e coscienzioso come Brandt potesse essere mandato al patibolo.
C’era chi, come il dottor Joachim Mrugowsky, era stato l’allievo prediletto di Emil Abderhalden, il pioniere svizzero della biochimica che aveva studiato l’isolamento delle proteine durante la gravidanza. Dopo aver distribuito il gas Zyklon B ad Auschwitz in quanto responsabile dell’Istituto di igiene razziale, il dottor Mrugowsky si chiudeva nella sua biblioteca, per immergersi nei testi di Alexander von Humboldt e di Jakob Böhme. Nella mente di uno dei medici impiccati a Norimberga, il funzionamento delle camere a gas non era in disaccordo con il “Faust”. Tutto in nome del motto di Goethe: “Sich überwinden”. Superarsi.
Tutti quei medici pensavano di fare del “bene”. Lo spiegò così a Norimberga il dottor Gerhard Rose, il massimo esperto tedesco di malattie tropicali che aveva sperimentato vaccini su esseri umani: “Le vittime del tifo di Buchenwald non hanno sofferto invano. Noi oggi possiamo contare le persone che sono state sacrificate, ma non possiamo sapere quanti individui devono la vita a questi esperimenti”. Come hanno potuto dei luminari della scienza e della medicina, titolari di cattedre, autori di ricerche straordinarie, tradire il giuramento di Ippocrate e distruggere così tante vite umane per sradicare la malattia e la sofferenza, per il “bene” dell’umanità e per il bene della medicina? Condannare non è sufficiente. Quei medici potevano rifiutarsi come altri fecero, non avevano ricevuto ordini, si erano offerti per compiere le selezioni, per scegliere il metodo di lavoro e per partecipare alle ricerche scientifiche. Più che mostruoso, non suona familiare?
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Karl Brandt
da https://it.wikipedia.org/wiki/Karl_Brandt
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Karl Brandt (Mülhausen, 8 gennaio 1904 – Landsberg am Lech, 2 giugno 1948) è stato un medico e generale tedesco delle Schutzstaffel, accompagnatore personale di Adolf Hitler e responsabile del programma nazista sull'eugenetica.
Biografia
Gioventù
Nato nel 1904 in Alsazia, a Mülhausen, quando il territorio era ancora tedesco, Brandt[1] veniva da una famiglia di medici di grande distinzione, ma non proveniente dall'Alsazia. Incominciò gli studi nel 1924, presso l'Università di Jena, e nel 1928, all'età di 24 anni, divenne un medico il cui primo impiego fu come assistente all'ospedale di Borgnannehoil[2], dove rimase per due anni. Qui effettuò il suo tirocinio col grande chirurgo tedesco Ferdinand Sauerbruch e, ancor prima dei trent'anni, stava già emergendo come un chirurgo dotato e un'autorità sulle lesioni alla testa e alla colonna vertebrale[3].
Giovane medico quando si iscrisse al partito nazista nel 1932, pose nel partito le proprie speranze di recupero della regione dell'Alsazia, che nel frattempo era ritornata sotto dominio dei francesi (nel 1919). Un ruolo molto importante sulla formazione del suo pensiero lo ebbe un alsaziano come lui, il Premio Nobel per la pace Albert Schweitzer, al cui lavoro come missionario in Africa non poté però unirsi per motivi politici e militari (la regione che sarebbe diventata la sua destinazione era la regione di Lambaréné, nel Gabon occidentale)[4]. Nello stesso anno fu presentato a Hitler dalla sua fidanzata, una campionessa tedesca di nuoto[5].
Dalle SS al duplice arresto
Si iscrisse sempre nello stesso anno anche alla Lega dei Medici Tedeschi Nazionalsocialisti (Nationalsozialistischer Deutscher Arztebund)[6]. Nel 1933 divenne un membro delle SA e nel 1934 divenne SS-Untersturmfürher delle SS.
Ancora nel 1934, all'età di soli 29 anni, divenne il medico accompagnatore personale del Führer (il medico personale di Hitler fu Theodor Morell). La contrapposizione tra i due fu sempre abbastanza accesa. Mentre infatti il medico ufficiale di Hitler, Morell, era considerato un ciarlatano[7], Karl Brandt fu la figura scientifica e il medico tradizionale del Reich. Dal 1939 fu Commissario del Reich per la Sanità. Nel 1943 divenne tenente generale delle Waffen-SS, mentre nel 1944 Brandt venne nominato Commissario per la Sanità e la Salute del Reich (Reichskommissar fur Sanitates und Gesundheitswesen), raggiungendo così uno dei più alti ranghi nella macchina statale nazista.
Fu l'uomo scelto da Hitler come iniziatore del Programma T4 (l'uccisione dei disabili tedeschi) e come sua autorità medica suprema[8]. Con queste autorità, fu coinvolto in ruoli di massima responsabilità nei tristemente famosi esperimenti "scientifici" su esseri umani, fra cui quello in cui egli stesso chiese al ReichsFührer, Heinrich Himmler, l'autorizzazione per effettuare le inoculazioni del virus dell'epatite epidemica in esseri umani. Insieme con Albert Speer, fu fra le persone più vicine al Führer.
Karl Brandt e Albert Speer non furono solo stretti amici, ma agirono anche per salvare l'uno la vita dell'altro[9]. Nel 1944, Brandt fece ricorso ai suoi enormi poteri in quanto Commissario Generale dei Servizi Medici e alle sue amicizie per salvare Speer, già malato, dal tentativo di omicidio architettato da Himmler, il quale si sentiva profondamente disturbato nella sua opera di ottundimento mentale sul Führer, appunto, da Speer stesso (il quale era intanto diventato ministro per l'Armamento e la Produzione di guerra del Reich).
In seguito, il 16 aprile 1945, Brandt fu arrestato dalla Gestapo e condannato a morte, in quanto accusato di alto tradimento nei confronti del Führer, poiché, in vista della disfatta dell'esercito tedesco, aveva allontanato la propria famiglia da Berlino verso la linea del fronte americano, in modo da permettergli di arrendersi agli Alleati e di poter essere risparmiati sia dalle armate russe, sia dal suicidio di massa che i nazisti fedeli avevano in mente. Ma il 2 maggio fu rilasciato per ordine di Karl Dönitz. Infatti Speer, al quale aveva salvato la vita solo un anno prima, alla notizia dell'arresto dell'amico e collega, ebbe la premura di mobilitare varie persone per salvargli la vita[6].
Fortissima influenza sulla sua momentanea liberazione la ebbe Heinrich Himmler, il quale faceva da tempo parte, insieme con la stessa famiglia Brandt, della più ristretta cerchia intorno alla figura del Führer. Infatti Karl Brandt e sua moglie Anni entrarono a far parte nella cerchia in assoluto più vicina a Hitler, a Berchtesgaden, dove Hitler fece costruire la sua residenza privata conosciuta come il Berghof, nella quale erano ammessi oltre lui, solo i suoi più stretti compagni e collaboratori, tra cui Eva Braun, appunto Heinrich Himmler, Albert Speer e sua moglie Margarete Speer, il dottor Theodor Morell, Martin Bormann, e pochi altri. La sua libertà in ogni caso non durò per molto. Infatti il 23 maggio 1945 fu infine arrestato dagli inglesi.
Carriera
Karl Brandt dunque sin da giovane si approcciò pienamente al regime Nazionalsocialista che aveva in Hitler la figura ovviamente centrale. Brandt intraprese quello che molti pensano di definire un rapporto di figlio adottivo con lo stesso Führer[6]. Dopo essere entrato nel corpo delle SS e delle SA, e diventato medico accompagnatore del Führer, ottenne una serie di incarichi e oneri sempre più fondamentali in quello che sfociò nell'attuazione del programma T4.
Verso la fine del 1938, alla Cancelleria del Führer pervenne una richiesta molto importante. Hitler ordinò a Brandt di recarsi alla clinica dell'Università di Lipsia dove un bambino di nome Knauer era stato ricoverato, in seguito alla richiesta da parte dei genitori dello stesso, con l'intenzione di potergli concedere una morte pietosa (Gnadentod, letteralmente la morte ricevuta per grazia)[10], a causa delle sue condizioni. Nonostante la rapida mitologizzazione subita dalle condizioni di questo bambino, Brandt riferì l'immagine che il bambino fosse nato cieco e mancante di una gamba e di parte di un braccio, oltre che affetto da una forma di idiozia, non come invece riportò Hans Hefelmann, mancante di ben tre arti.[11] Il compito di Brandt fu dunque quello di accertare che le informazioni che vennero fornite dai genitori, fossero risultate corrette e coerenti con le condizioni del paziente, e per consultarvisi con i medici locali. Il medico con cui Brandt ebbe modo di parlare fu proprio Werner Catel[12], direttore della Clinica Pediatrica di Lipsia, che avrebbe assunto un ruolo fondamentale nel progetto.
Brandt ricevette prima della partenza l'ordine speciale da parte del Führer di autorizzare i medici a concedere l'eutanasia, nel qual caso le condizioni del bambino fossero state davvero gravi come affermato dai genitori, garantendo una totale copertura da qualsiasi procedimento legale nel quale avrebbero potuto essere coinvolti. Era dunque Hitler a patrocinare totalmente tale iniziativa. Tornato a Berlino dopo questa prima esperienza, Brandt fu autorizzato da Hitler, che non voleva essere identificato pubblicamente col progetto, a comportarsi secondo le prime direttive in tutti i casi simili che gli si sarebbero presentati. Con una lettera inviata direttamente dal Führer e indirizzata ai reggenti dell'operazione, quindi Brandt e Bouhler, verso metà ottobre 1939, e retrodatata successivamente il 1º settembre dello stesso anno in concomitanza con lo scoppio della seconda guerra mondiale[13], ebbe ufficialmente inizio il programma T4, in accordo con la deposizione lasciata dallo stesso Brandt.
«Al capo della Cancelleria e del Reich Bouhler e al dottor Brandt, viene affidata la responsabilità di espandere l'autorità dei medici, i quali devono essere designati per nome, perché ai pazienti considerati incurabili secondo il miglior giudizio umano disponibile (menschlichem Ermessen) del loro stato di salute possa essere concessa una morte pietosa.[14][15]» |
Karl Brandt e Philip Bouhler (Capo della Cancelleria di Hitler), non erano inizialmente i vertici del programma, le cui redini erano state affidate a Leonardo Conti (subentrato dopo la morte di Gerhard Wagner), che in quanto ministro della Sanità e capo sanitario del Reich, era la persona più giusta per gestirlo[8], e Lammers. Nel frattempo emerse anche la Werner Heyde, il quale nelle veci di rappresentante di Brandt, diresse il programma, ed ebbe Paul Nitsche come assistente che infine lo sostituì[16]. Rappresentanti della burocrazia del programma invece insieme con Bouhler e Brandt, furono anche il dottor Herbert Linden[16][17], ministero della Sanità e il dottor Ernst Robert von Grawitz, comandante medico delle SS, i quali si diedero da fare nella scelta di medici per ruoli direttivi[16]. I quattro sopraintendevano dunque alla selezione degli attuatori del programma, coloro che avevano il compito di uccidere faccia a faccia le proprie vittime, i quali venivano scelti secondo il criterio della fedeltà al regime, il riconoscimento di cui godevano nella loro professione, o la simpatia verso il programma stesso.[16] A queste prime riunioni Brandt fu introdotto col ruolo di direttore medico del progetto. In queste riunioni però non fu mai stesa, per poi essere approvata, una proposta di legge che rendesse il tutto ufficiale e legale, ma l'autorizzazione concessa ai due, Brandt e Bouhler, nel decreto di Hitler fu sempre considerata come equivalente a una legge.[18]
Ma Brandt e Bouhler si mossero rapidamente per approntare i piani che avrebbero esteso il programma di eutanasia infantile anche alla popolazione adulta. Nel 1939, a luglio, convocarono un incontro al quale parteciparono Leonardo Conti e Werner Heyde, allo scopo di discutere della creazione di un registro nazionale di tutti gli ospedalizzati affetti da malattie mentali o fisiche. Agli inizi del 1940, a Brandeburgo, ex carcere, si tenne la prima sperimentazione dell'utilizzo delle camere a gas[19]. Si decise di effettuare un test comparativo, in modo da definire quale metodo fosse il migliore per l'eutanasia dei pazienti, tra l'iniezione letale o la morte per avvelenamento da monossido di carbonio. Fu in quest'occasione, che lo stesso Brandt chiese che venisse eseguito l'esperimento, e insieme con Leonard Conti, ebbe a cura di eseguire personalmente la somministrazione delle iniezioni. Fu un gesto simbolico, probabilmente per ribadire l'importanza che il carattere medico fosse alla base di tutta l'operazione.[20]
Infatti come ebbe modo di dire Brandt a esperimento compiuto, solo dei medici dovrebbero eseguire le gassificazioni[21]. Inizialmente infatti, al primo suggerimento da parte di Heyde di utilizzare in alternativa alle iniezioni di narcotici, il monossido di carbonio, Brandt si oppose in quanto disse questa intera questione poteva essere considerata solo da un punto di vista medico, nella mia immaginazione medica il monossido di carbonio non aveva mai svolto una parte. Ma ebbe modo di potere cambiare idea quando gli venne in mente un'esperienza personale di avvelenamento da monossido nel quale perse conoscenza senza sentire nulla, e si rese conto che quello era la forma di morte più umana.[21]
«Questo è solo un esempio quando si fanno progressi importanti nella storia medica. Ci sono casi di un'operazione che in principio viene guardata con disprezzo, ma che in seguito viene imparata ed eseguita. Qui il compito richiesto dall'autorità di Stato si aggiunse alla concezione medica di questo problema, e fu necessario trovare con buona coscienza un metodo di base che potesse rendere giustizia ad entrambi questi elementi.[22]» |
Quando i primi funzionari ecclesiastici incominciarono a opporsi apertamente al programma di eutanasia nazista, Brandt fu il primo a intrattenere un rapporto stretto e amichevole con uno tra i principali oppositori, il reverendo Fritz von Bodelschwingh[23]. A quanto pare da una comunicazione radiofonica della BBC, nel quale lo stesso reverendo riferiva Non si può presentare il professore Brandt come un criminale, bensì piuttosto come un idealista”, Brandt ebbe un certo ruolo importante nel risparmiare i pazienti di Bodelschwingh[24]. Dopo la morte del reverendo, addirittura il suo successore ne espose le opinioni in un affidavit a favore di Brandt, durante il processo di Norimberga, nel tentativo di salvarlo dalla pena di morte. Il reverendo infatti era fermamente convinto dell'impegno di Brandt nello sforzarsi più di altri a limitare l'applicazione del progetto a casi in cui una vita era completamente finita, e che egli fosse motivato non da brutalità, ma da un certo idealismo, intrinseco alla sua concezione di vita[25].
La propaganda nazista per inculcare l'idea dell'eutanasia nelle menti del popolo fu vasta e si attuò in molti campi, a partire dalla proiezione cinematografica. Diversi film furono girati dal 1935 in poi. Uno in particolare fra questi (Ich Klage an, in italiano Io accuso del 1941) fu unico per il fatto di trattare specificatamente dell'uccisione medica, anche se in toni specificatamente mistificati e romanzati, ed ebbe origine proprio da un suggerimento di Karl Brandt stesso[26], per convincere l'opinione pubblica tedesca ad accettare l'idea dell'eutanasia.
Ma nello stesso agosto del 1941, intorno al 24 agosto, su direttiva del Führer, il quale ricevette il consiglio da Heinrich Himmler dopo l'attacco subito dal regime e dal programma da parte del vescovo Clemens von Galen, Brandt ebbe l'ordine verbale di dare un termine all'operazione T4, o almeno di temporeggiare. Ma ciò non fu che una manovra di mistificazione burocratica.[27] Il 28 luglio 1942, Brandt fu nominato Commissario generale del Führer per i servizi Medici e di Salute, e ottenne l'incarico sotto il diretto controllo di Hitler, di Plenipotenziario per la Salute e i Servizi Medici[28].
Il processo
François Bayle, uno psicologo francese che lo intervistò ripetutamente al tempo del processo di Norimberga, lo descrisse così:
«Personalità ricca, vigorosa, ma indisciplinata, pugnace e infantile reso vulnerabile dalla sua ambizione e dal suo orgoglio. In possesso di un'intelligenza vivida, ma di poca chiarezza logica e di molta immaginazione, la quale può facilmente essere influenzata e sviata. Anche il suo carattere poteva essere influenzato, con la stessa facilità.» |
(I Medici Nazisti, Robert Jay Lifton, pag 159) |
L'insistenza di Bayle sulla combinazione di intensa ambizione e di vulnerabilità a influenze esterne ben si accorda con lo straordinario attaccamento di Brandt a Hitler.
Fu processato dal 9 dicembre 1946 al 19 agosto 1947 con altri ventidue dottori al Palazzo di Giustizia di Norimberga (si veda: processo di Norimberga). Il processo è conosciuto agli atti con il titolo United States of America vs. Karl Brandt et al., ma è comunemente chiamato il Processo ai dottori. La Corte era composta dai seguenti giudici:
1) Presidente Walter B. Beals, Giudice Supremo della Corte suprema dello Stato di Washington;
2) Giudice Harold L. Sebring, Giudice della Corte suprema dello Stato della Florida;
3) Giudice Johnson Tal Crawford, Giudice del tribunale distrettuale di Ada (Oklahoma);
4) Giudice sostituto Victor C. Swearingen, Capo dell'Ufficio per i crimini di guerra presso il Pentagono.
Brandt, insieme con gli altri imputati di questo processo fu accusato di:
1) avere congiurato e essersi accordato illegalmente,
intenzionalmente e consapevolmente per commettere, in base a un piano
comune, crimini di guerra e crimini contro l'umanità come quelli definiti nella legge n. 10 del Comitato di controllo.
2-3) dal settembre del 1939 fino all'aprile 1945
tutti gli imputati sono accusati di essere mandanti, complici,
istigatori, favoreggiatori, di aver dato il consenso e di essere
implicati in progetti e imprese che prevedevano esperimenti medici senza
il consenso dei soggetti da esperimento, commettendo nel corso di
questi esperimenti omicidi, violenze, atrocità, torture, crudeltà e
altre azioni disumane.
4) il quarto punto della denuncia accusa gli imputati di aver fatto
parte di un'organizzazione che è stata riconosciuta come criminale dal
Tribunale Militare Internazionale, in quanto appartenenti alle SS.[29]
Sentenza
Karl Brandt fu riconosciuto colpevole di crimini di guerra, crimini contro l'umanità e appartenenza a un'organizzazione dichiarata criminale dal Tribunale militare internazionale e condannato a morte tramite impiccagione (Sentenza del Tribunale militare americano n. 1 Norimberga, 20 agosto 1947).
Note
Per gli estremi completi delle opere citate vedi alla sezione Bibliografia.
- ^ Non aveva alcun rapporto di parentela con l'altro criminale nazista Rudolf Brandt operante negli stessi anni.
- ^ Copia archiviata, su nuremberg.law.harvard.edu. URL consultato il 13 febbraio 2011 (archiviato dall'url originale il 9 giugno 2007)., pag 6, Final-Statements on behalf of Professor Dr. med. Karl Brandt before Military Tribunal I in Nurenberg
- ^ I Medici Nazisti, Robert Jay Lifton pag 157
- ^ I Medici Nazisti, robert Jay Lifton pag 157
- ^ I Medici Nazisti, Robert Jay Lifton, pag 157
- I Medici Nazisti, robert Jay Lifton pag 103
- ^ Deposizione Brandt (traduzione dall'inglese), Norimberga, 1º ottobre 1945 (Archivi nazionali)
- ^ I Medici Nazisti, robert Jay Lifton pag 127
- ^ I Medici Nazisti, Robert Jay Lifton pag 159
- ^ I Medici Nazisti, Robert Jay Lifton, pag 159
- ^ I Medici Nazisti, Robert Jay Lifton, pag 73
- ^ I Medici Nazisti, Robert Jay Lifton, pag 133
- ^ «il Giornale», 5 maggio 2007
- ^ Final-Statements on behalf of Professor Dr. med. Karl Brandt before Military Tribunal I in Nurenberg, pag 3
Bibliografia
- Schmidt, Ulf: Karl Brandt - The Nazi Doctor: Medicine and Power in the Third Reich. Londra, HAMBLEDON & LONDON 2002
- Lifton, Robert Jay: I medici nazisti - Uccisione medica e psicologia del genocidio. Milano, Biblioteca Universale Rizzoli (BUR), 2003. ISBN 88-17-10103-6.
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